Il Cardo: spine, eleganza e sapori d'inverno
di Francesca Gambin
Cardo solitario e sonnolento,
delle sue spine stai attento.
Curvo nel campo, fiero nel cuore,
cresce nel rigore.
Coglilo d’inverno,
ponilo nel piatto,
di darà gusto, sincero e compatto.
Crudo e gentile,
con aglio e acciughe danza sottile.
La bagna lo avvolge e lo scalda,
il cardo si apre, si dona, si salda.
Il cardo (Cynara cardunculus) è il fratello di campo del più famoso carciofo (Cynara cardunculus), entrambi hanno un sapore amarognolo, che li rende protagonisti della cucina mediterranea.
La differenza è che del carciofo si mangia il capolino fiorale immaturo, cioè il famoso “cuore” tenero e carnoso, mentre nel cardo si consumano le coste delle foglie, lunghe e fibrose, che vengono sbianchite per renderle più tenere e meno amare.
Il cardo, infatti, viene spesso interrato o avvolto per impedire la fotosintesi, una pratica che dà origine a varietà come il “cardo gobbo” di Nizza – Monferrato; nasce come tutti gli altri cardi ma, verso la fine dell’estate, lo si piega delicatamente e lo s’interra, così perde il suo verde intenso e diventa bianco, tenero, dolce.
Il cardo è, anche, il fiore nazionale della Scozia ancora dalle invasioni vichinghe.
La storia è questa: di notte, un gruppo di predatori vichinghi si stava avvicinando e a un accampamento scozzese, per non fare rumore camminavano scalzi.
Uno di loro, però, mise il piede su un cardo selvatico.Le spine gli trafissero la pelle e lui urlò dal dolore. I soldati scozzesi si svegliarono, riuscirono a difendersi e respingere l’attacco.
Da quel giorno, il cardo fu il simbolo di Scozia; ancora oggi, lo troviamo su stemmi, monete e decorazioni ufficiali.
Il nome cardo deriva dal latino “carduus” o “cardus”, che potrebbe avere radici nel greco antico ἀρδὶς (ardis), “punta dello strale” o “punta di freccia”, in riferimento alle sue spine pungenti.
Nella letteratura classica il cardo è citato da Teofrasto (ca. 371 a.C. – ca. 287 a.C.) nella sua opera: “Ἱστορία φυτῶν” – "Historia Plantarum - Storia delle piante”: “Καὶ τῶν ἀκανθωδῶν φυτῶν, ὁ κάρδος ἐστὶν ἰσχυρὸς καὶ τραχύς, ἐν τῷ ἀγρίῳ τόπῳ φύεται.” – “Tra le piante spinose, il cardo è robusto e ruvido, cresce in luoghi selvatici".
Teofrasto, discepolo di Aristotele, considerato il padre della botanica, descrive il cardo come pianta spinosa e resistente, tipica degli ambienti selvatici.
Virgilio (70 a.C. –19 a.C.) nelle Georgica, Libro II, scriveva: “Saepe etiam silvestris inculta parentis / vitis et et steriles dominantur carduus agros.” – “Spesso anche la vite selvatica e il cardo sterile invadono i campi incolti". Virgilio usa il cardo come metafora della trascuratezza agricola, ma anche come simbolo della forza della natura che resiste e si impone.
Columella (ca. 4 d.C. – ca. 70 d.C.) nel suo “De Re Rustica”, Libro VI, riporta: “ Carduum agrestem nonnulli in pabulum recipiunt, si tener est, et non nimis spinosus.” – “Alcuni includono il cardo selvatico nel foraggio, se è tenero e non troppo spinoso.” . Columella, agronomo romano, lo considera una risorsa agricola secondaria, utile per il bestiame se raccolto giovane.
Plinio il Vecchio (23 d.C. –79 d.C.) nella “Naturalis Historia” considera: “ Carduus plurimas habet species, quarum quaedam eduntur, quaedam medicamentis inserviunt” – “Il cardo ha molte varietà, alcune delle quali sono commestibili, altre servono come rimedi medicinali.”.
Plinio lo descrive come pianta multifunzionale, utile sia in cucina che in medicina, e cita anche il carduus lanatus per la cardatura della lana.
Dioscoride (ca. 40 d.C. – ca. 90 d.C.) , medico greco, lo cita nella suo trattato “Περὶ ὕλης ἰατρικῆς” (De Materia Medica): Σίλυβον τὸ καλούμενον, ἔχει δύναμιν ἡπατικήν καὶ καθαρτικὴν τῆς χολῆς. “ – “Il silibum, così chiamato, ha proprietà benefiche per il fegato e purgative della bile.”.
La descrizione di Dioscoride come rimedio epatico è alla base dell’uso moderno della silimarina, un complesso naturale di sostanze estratte dai semi del cardo mariano , composta principalmente da tre flavonolignani, Silibina (la più attiva e abbondante), Silicristina, Silidianina.
Queste molecole lavorano insieme per offrire potenti effetti epatoprotettivi, antiossidanti e antinfiammatori.
Nel Medioevo, il cardo non fu protagonista come altre piante medicinali, tipo la salvia, il rosmarino o la ruta, ma non fu dimenticato
Sappiamo che Carlo Magno, 742 – 814, imperatore del Sacro Romano Impero, promosse una vera rinascita agricola e culturale nota come “Rinascita carolingia”. Tra le sue iniziative, emanò il “Capitulare de villis vel curtis imperii”, un documento normativo che elencava 74 piante utili da coltivare negli orti imperiali, tra queste il cardo, considerato commestibile, soprattutto in inverno.
Pseudo-Apuleio, attivo ne VI secolo d.C., scrisse l’ “Herbarium Pseudo-Apuleii”, un erbario latino molto diffuso nel Medioevo e sul cardo riportava:”Carduus est herba spinosa, utilis ad stomachum et ad purgationem corporis.” - “Il cardo è una pianta spinosa, utile per lo stomaco e per la purificazione del corpo.”
Il testo lo raccomanda per disturbi digestivi, depurazione del sangue, trattamenti contro la febbre e le infiammazioni.
Parente discreto del nostro cardo “Cynara cardunculus”, fu il “cardo dei lanaioli”, “Dipsacus fullonum”, utilizzato per secoli nella pettinatura o pulitura della lana, da qui il “cardare la lana”, grazie alle sue brattee uncinate, rigide e affilate. Il nome botanico, Dipsacus fullonum, racchiude una curiosità “Dipsacus” deriva dal greco “δίψακος” “dofagos”, “assetato”, per la forma delle foglie che raccolgono acqua alla base, mentre “fullonum” è riferito alla lavorazione della lana grezza.
In cucina il cardo è famoso per la “bagna cauda”, nata probabilmente nel tardo Medioevo, nelle Langhe, del Monferrato e dell’Astigiano, una salsa calda, fatta di aglio, olio e acciughe salate.
La “bagna cauda” non si serviva nei piatti ma in un unico recipiente di terracotta, il “fojòt”, con sopra la zuppiera e sotto un lumino a fiammella viva per mantenere il calore, ogni commensale vi intingeva la propria verdura.
Nel tempo, la bagna cauda è diventata simbolo identitario del Piemonte; nel 1962 nacque la Confraternita della Bagna Cauda e del Cardo Gobbo, a Nizza Monferrato e ogni anno, si celebra la Bagna Cauda Day, incostro gastronomico che raduna migliaia di persone.
Il cardo, con le sue spine e la sua apparente ruvidità, racchiude in sé un paradosso affascinante: è pianta selvatica e coltivata, simbolo di forza e al tempo stesso di convivialità, alimento povero ma ricco di significati. Dall’antichità classica al Medioevo, dalle botteghe dei lanaioli alle tavole piemontesi, il cardo ha accompagnato l’uomo come nutrimento, rimedio, utensile e mito. Nella bagna cauda, nel cardo gobbo, ritroviamo la sua doppia anima, severa e spinosa da un lato, tenera e generosa dall’altro.
Forse è proprio questa la lezione che il cardo ci consegna: spine, eleganza e sapori.
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