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L'uva da tavola, una squisita dolcezza

di Enzo Gambin

Anche se l’uva da tavola s’inizia a raccoglierla in luglio, settembre è il mese in cui regala i grappoli più dolci.

Il caldo dei mesi estivi ha favorito la concentrazione degli zuccheri così i chicchi sono diventati più deliziosi e la buccia piacevolmente scricchiolante.

Le differenze tra le varietà di uve da vino e da tavola sono tante, a partire dal colore e dalla forma, fino alle caratteristiche organolettiche, differenze che si sono create nei secoli.

La vite selvatica é tra i vegetali più antichi della Terra, sembra sia comparsa sessanta milioni di anni fa.

La vite da vino, invece, arrivò più tardi, forse un milione di anni fa, ed ebbe tutto il tempo di attendere l’arrivo dell’uomo, per poi attiralo con i suoi dolci grappoli pendenti, che maturavano al sole.

I primi abitatori delle caverne, senza dubbio, fecero un forte uso di queste uve e si saranno pure accorti e meravigliati che il suo succo, fortuitamente abbandonato, si trasformava in un liquido buono da bere.

Chissà pure quale sarà stato il loro stupore nel costatare gli strani effetti dell’uva trasformata in vino.

La nascita e lo sviluppo della viticoltura e dell’enologia avvenne in l’Asia Minore, con i Semiti e gli Arii.

Altri popoli hanno fecero la stessa cosa, infatti, la memoria della viticoltura e del vino è presente già nell’Epopea di Gilgamesh, un’antica opera poetica sumerica, risalente ad almeno 4.000 anni fa.

Uva e vino erano un binomio inseparabile, unito sempre al consumo dell’uva, tanto che questa ispirò lo scrittore greco Esopo, 620 a.C. – 564 a.C., nel creare la favola della “La volpe e l’uva” – “Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato, e tentò di afferrarli. Ma non ci riuscì. “Robaccia acerba!” disse allora tra sé e sé; e se ne andò. …... Esopo, XXXII; Fedro, IV, 3”.

Due secoli dopo, sempre in Grecia, il botanico Teofrasto Ereso, 371 a.C. - 287 a.C., nella sua Historia plantarum riferiva che, in Siria e in Arabia, vi erano produzioni di uve dai grappoli “straordinariamente grandi”.

Ancora più tardi, il geografo greco Strabone, 64 a. C. - 24/26 d.C., nella sua opera “Geografia”, raccontava che in Babilonia e a Cartagine vi erano vitigni per la produzione di uve da tavola e i loro acini, posti al sole, diventavano dolcissimi e si conservavano a lungo.

La stessa cosa doveva avvenire anche presso i romani.

Marco Terenzio Varrone, 116 a.C. –27 a.C, agronomo romano, nel suo “Rerum Rusticarum De Agri Cultura” al Libero I capitolo 54 scriveva: “Quando nei vigneti l’uva sarà matura, bisogna vendemmiare, scegliendo prima da quale specie di uva e da quale punto della vigna si debba cominciare la vendemmia. …. Nella vendemmia da un coltivatore diligente non si coglie solo, ma si sceglie anche, l’uva: si coglie quella da vino, si sceglie quella da tavola”.

Altro appassionato d’uva da tavola fu Columella, 4 – 70, nel III libro del “De Re Rustica”, ne elencò ben dodici varietà, tra cui la Preciae, la Rhodia, la Bumastus o Bumamma, la Mennavacca o Bumesta.

Pure Plinio il Vecchio, nel libro XIV della Naturalis Historia, 23 – 79, distinse le uve da tavola da quelle da vino e affermò che gran parte delle prime erano di origine greca, ricordando la “Pergulana”, la “Horconia”, l’”Oleagina”, la “Pompeiana” o “Murgentina”.

Il consumo dell’uva da tavola rimase comunque limitato all’uso familiare, sino a che i Crociati, di ritorno dalla Terrasanta, non portarono nuove varietà, provenienti da Cipro, da Corinto, dalla Siria, dalla Grecia orientale, da Gerusalemme.

S’iniziò, allora, a coltivare l’uva da tavola anche per i mercati urbani. Sulle tavole del Rinascimento l’uva aveva un posto da privilegio, era il frutto del piacere e nei pergolati di ville e abitazioni di campagna vi erano vitigni da consumo fresco, come Malvagie, Passerine di Corinto, Uva Paradiso, Pergolese, Zibibbo, San Colombano, Lugliola.

Sono però rare le loro produzioni pittoriche, che si hanno solo dopo la seconda metà del Seicento, quando s’istituì la botanica come scienza.

Ecco allora che Bartolomeo Bimbi, 1648- 1730, con grande naturalezza dipinse “Spalliera con diverse varietà di uve e legende”.

Giorgio Gallesio, 1772- 1839, diede tinta a molte varietà di uve da mensa in “Pomona italiana ossia trattato degli alberi fruttiferi”.

A fine Ottocento, in Europa e in Italia, comparve la “Fillossera” e molte varietà di uve da tavola furono innestate su un portainnesto americano.

Questa avversità portò tuttavia anche l’occasione per un loro miglioramento genetico.

Nel 1911 apparve così la cultivar “Italia”, ottenuta dal professor Alberto Pirovano 1884–1973, genetista e agronomo, varietà ancora oggi molto presente.

Agli inizi del Novecento, non era facile la distinzione delle tante varietà di uve da tavola perché tra loro vi erano tante sinonimie nelle cultivar, così, nel 1912, il vicentino Norberto Marzotto, 1853 - 1939, diede alle stampe una ampelografia esclusivamente rivolta alle varietà di uve da mensa: “Compresi la necessità di intraprendere anzitutto uno studio diligente e perseverante onde dissipare quel caos di errori nella nomenclatura e sinonimia in cui trovavansi una gran parte di viti che da commercianti e vivaisti erano state battezzate a capriccio e con deplorevole ignoranza ampelografica.

Non era facile compito il riuscire a colmare tante lacune, anche perché si presentava quale ostacolo il pericolo della fillossera.

A scopo di osservazioni e di confronti mi sarebbe stato indispensabile procurarmi soggetti da varie regioni d’Italia, ma per motivi di prudenza ho dovuto usare la massima circospezione ai riguardi della fillossera, per cui non fu possibile fornire la mia collezione di alcune pregevoli varietà dei paesi meridionali, della Sicilia e Sardegna; mentre mi sarebbe stato di grande sussidio, per completare meglio il lavoro, il poter estendere anche su queste le mie osservazioni e confronti. …… concernenti le uve da mensa di tutte le regioni italiane”.

A oggi, l’Italia è leader nella produzione europea di uva da tavola e questa coltivazione fa parte anche della cultura italiana, come ebbe ben a dire il prof. Attilio Scienza, ordinario di “Viticoltura” presso l’Università degli Studi di Milano:

“Un grappolo d’uva ha una tale forza simbolica,

sia profana che cristiana,

da andare al di là della

semplice rappresentazione

di un frutto”.

A cui possiamo aggiungere quanto afferma la giornalista Licia Granello:

Si fa presto a dire uva.

Come se ne esistesse un tipo

soltanto, buona per tutte

le stagioni e per tutti gli usi.

Errore madornale.

L’uva è una e mille, pur se

divisa in due categorie filosofiche

(da vino e da tavola, bianca o nera),

prima che di prodotto.

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