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Il Cirò, figlio nobile della Magna Grecia

di Nino d’Antonio

Corre il rischio di risultare quasi sempre incompleto un ritratto della Calabria. E questo, anche quando ci si limiti ai soli vini. Perché l’entroterra di civiltà e di storia che c’è dietro ogni vite – per non dire della loro controversa origine – è tale che la rinuncia ad una sola citazione può risultare, alla fine, sempre grave.

Qualche esempio a cominciare dal Cirò, bandiera del territorio. Il vino nasce dove sorgeva l’antica Kerkyra, ed era destinato a celebrare i vincitori dei Giochi di Olimpia, portati avanti per oltre seicento anni, prima e dopo Cristo. Eppure, la Piana di S.Eufemia (nel territorio di Lamezia) vanta la primogenitura del vino in Calabria, grazie all’insediamento di coloni fenici, duemila anni prima di Cristo. L’allevamento della vite e l’arte di far vino da queste parti risalgono infatti a loro.

E ancora. Il Greco Bianco - che porta il nome del paese sulla costa meridionale dello Ionio – è chiaramente riconducibile ai Greci, sbarcati qui nel VII secolo a.C.. Accreditato all’origine come passito (uve su graticci al sole, fino alla perdita del 35% del peso), è vitigno diffuso in tutta la regione e base di numerosi Bianchi. Ma è allevato anche in Piemonte, con la denominazione Erbaluce.

Un caso non isolato, se si aggiunge che la distanza fra Calabria e Sicilia è di poco più di tre chilometri, dal massiccio dell’Aspromonte alla catena dei Peloritani. E questo ha favorito la presenza del Nerello Mascalese e di quello Cappuccio che - in uvaggio con il Gaglioppo e il Magliocco - hanno dato vita alla Doc Lamezia e alla relativa Riserva.

Tuttavia una probabile graduatoria che voglia tener conto dei vitigni più diffusi in Calabria, vedrebbe di sicuro in testa il Gaglioppo. Un’uva a bacca rossa, di cui esistono tracce anche in altre regioni, come le Marche, l’Umbria, la Campania e la Sicilia, ma che ha avuto un suo felice destino solo in Calabria. Presente un po’ ovunque – occupa circa un quarto della superficie vitata ed entra in…

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