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La “busa” dei Storioni

di Ulderico Bernardi

Talvolta la storia ci vive accanto e non ce n’accorgiamo. Sguscia via lesta. Distratti da tante banalità quotidiane, perdiamo di vista l’essenza del nostro essere parte di una continuità di generazioni che si chiama, per l’appunto, storia. Accade che talvolta s’imponga di forza alla nostra attenzione con l’evidenza dei monumenti, fatti di pietra. Allora, compiacendoci delle ville patrizie sparse per la campagna abbiamo percezione di un passato illustre. Vedendo poi, di questi tempi, fabbriche e officine sorte accanto alle dimore patrizie, registriamo la diffusione della ricchezza, sopravvenuta con la grande trasformazione industriale. Ma fatichiamo a congiungere i due aspetti. Persi dietro ai mercati, alle produzioni, ai consumi, cose per molti aspetti necessarissime, trascuriamo gran parte del patrimonio accumulato dai nostri predecessori. Poveri e ricchi, ma entrambi capaci di usare al maglio le risorse di natura e di cultura che l’ambiente e i traffici mettevano a loro disposizione. E’ ben tempo di recuperare. Ora che tutti, chi più chi meno, si sono tolti l’assillo del pane quotidiano, accompagnato da abbondante companatico, bisogna volgere lo sguardo indietro e ritrovare quanto di buono sta ancora alle nostre spalle. Anche le cose minute e squisite che non hanno l’opulenza degli edifici patrizi, ma di quello scenario erano parte integrale. Pensiamo alle cucine di villa, e a ciò che bolliva, arrostiva, schiumava, sui grandi focolari. Mangiari che ora sono accessibili a tutti. Almeno in teoria. Perchè in pratica la nostra dimenticanza della natura, dei suoi ritmi scanditi dalle stagioni, dell’equilibrio tra prendere e dare, ha spesso inaridito la fonte da cui si traevano tante delizie d’altri tempi.

Ora che memoria e naturalità sembrano premere alla porta della nostra consapevolezza, è forse il caso di ripercorrere gli antichi sentieri. Restaurando coscienze e ambienti, acque e cervelli. Alle sorgenti del Sile, fresco fiume di risorgiva, lontano dall’irruenza torrentizia degli altri fiumi veneti e friulani come l’Adige, la Brenta, la Piave, la Livenza, il Tagliamento (l’Aghe), è possibile cogliere un esempio di recupero in questa direzione. La famiglia Bresciani, d’ascendenza polesana, dunque compenetrata dell’esperienza propria a chi ha conosciuto albe e tramonti sulla barca fluviale, tra scani e valli da pesca, fa crescere anguille, carpe, lucci, gamberi e storioni. Bontà di natura, offerte alla sapienza cucinaria dei ristoratori e dei focolari domestici. Sia consentita tuttavia qualche considerazione sugli storioni. Pesci evocativi di storie e leggende anche recenti. Fin quando i nostri fiumi erano ancora rispettati. Livenza e Piave erano percorsi da storioni, che talvolta raggiungevano pesi e misure strabilianti. Qualche diecina di chili, un metro e più di lunghezza. Magnifiche prede. Ambitissime dai pescatori di fiume, e ghiottamente ricercate dai gastronomi. Alla foce del Piave, dove le sue acque si mescolano a quelle dell’Adriatico, se ne sono tirati su parecchi. Ma forse è la Livenza, dalle sponde spartite tra Veneto e Friuli, a custodire le maggiori memorie del grande pesce.

Si narra di uno sprofondo, dalle parti di Navolè, tra Oderzo e Motta, sul limitare della Marca Trevigiana, chiamato la busa dei storioni, di dove sorgevano alla stagione adatta frotte di nuovi nati. Che scendevano e risalivano il fiume in pastura, finendo talvolta sulle grandi bilance stese sull’acqua. Corbolone, in quel di San Stino di Livenza, era una postazione gastronomica ben nota ai consumatori che potevano permetterselo. Questo per gli storioni nostrani. Ma le evocazioni si spingono ben oltre l’orizzonte dell’antico Dominio da Tera della Serenis-sima. Per arrivare al Mar Nero, di dove provenivano le parti più ghiotte del grosso storione ladano, poi commercializzate dai veneziani in tutta Europa. Sotto due forme: lo schenàl e la moròna.

Nel primo caso si trattava di fette staccate dal dorso del grande pesce, tenute dapprima in salamoia, quindi lavate, essiccate per un mese e mezzo, poi vendute in fasci.

La moròna, invece, era costituita dalla parte restante dello storione, conservata in salamoia e commerciata in barili. Ahimè, con lo spirare della Repubblica finisce anche il traffico di questi salumi da mar che avevano deliziato nei secoli i palati aristocratici. Ora si sta provando a ripopolare di storioni Piave e Livenza, per quel che sarà possibile dato lo stato delle acque e la ristrettezza della portata. Magari i Bresciani di Santa Cristina sul Sile proveranno a ripescare dalla busa del tempo anche questi prodotti serenissimi.

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