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Cavolo, quanto sei interessante

di Enzo Gambin

Cavolo, quanto sei interessante

Il “cavolo” è entrato nei modi di dire riprovevoli per due ragioni, la prima per il suo scarso valore commerciale, che lo ha relegato a credere che, in una buona tavola, dia poche aspettative di piacevolezza.

La seconda perché ha il difetto che, nel momento in cui è cucinato, emana un odore poco gradevole, che si diffonde, invade e permane non solo in cucina ma in tutta la casa.

Due motivi più che sufficienti per indicare il “cavolo” come immagine di negligenza: “Non capire un cavolo”, “Col cavolo che ci riesce”,.

“Cavolo” è usato anche per indicare azioni maldestre o inopportune: “Che cavolo fai?”, “Fatti i cavoli tuoi!”. Se vi è un’incombenza che non si possa evitare arriva: “Ora sono cavoli amari”.

Quando si commette una cretinata ecco che subito s’incolpa il cavolo: “Fare una cavolata”.

Se qualcuno ti fa arrabbiare si apostrofa così: “Mi fa incavolare”.

Pure per le assurdità s’incolpa il cavolo: “Ma questa cosa c’entra come i cavoli a merenda!”.

Eppure l’Imperatore Diocleziano, 285 – 308, ha parlato bene dei cavoli; fu quando, dopo aver lasciato spontaneamente i fasci imperiali presso Nicomedia, antica città dell’Anatolia, fu raggiunto da Erculio e Galerio, due politici romani, che gli proposero di riaccettare l’incarico imperiale, e a loro rispose: “Videntes Salonae olera instituta nostris manibus, profecto numquam putaretis ut ego remearem Romam.”, “Visto che gli abitanti di Salona vedono i cavoli che coltivo con le mie mani, non potete pensare che io ritorni a Roma”.

Da quel momento il “cavolo” migliorò la sua posizione e prese anche espressioni di entusiasmo e di stupore: “Cavolo, ho ottenuto una promozione”, “Cavolo, il tuo studio è fantastico: non ho mai visto tanto lusso”.

Il termine cavolo deriva dalla parola greca, “καυλός”, “caulos”, forse proveniente da “ξύλον” “eulon” con il significato di “ caule o fusto”, passato poi al latino come “caulus”, tanto che, nel dialetto veneto, esiste ancora il…

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