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Magica Zucca

di Enzo Gambin

Autunno, ritorna la piacevolissima abitudine di stare in tavola con le zucche, ottime al palato e utilissime per la salute. La zucca ha in sé del geniale e del misterioso, cresce velocissima e, sui che terreni il giorno prima erano spogli, germoglia e si sviluppa “dal nulla”, si presenta poi in tante tenute: liscia, costoluta, verrucosa, corta, lunga, a fiaschetta, a palla, verde, gialla, arancione; zucca da cucina e da ornamento. Grazie alla sua abbondanza di semi, la zucca fu per Greci e Latini il simbolo di fertilità, legata a rituali di rigenerazione e procreazione, pure di morte.

Ateneo, scrittore e sofista greco del II - III sec. d.C., riferiva che a Sicione, città del Peloponneso, si adorava la dea delle zucche, Kolokasìa Athenai, che era la personificazione della Grande Madre, preposta al ciclo della vita e della morte.

Sesto Aurelio Properzio, 50-15 a. C., poeta romano, scriveva nelle “Elegie”: “Il cocomero verdastro e la zucca dal ventre gonfio si distinguono ….” caratterizzando così la zucca, dal ventre gonfio, come generatrice di vita.

Lo stesso Lucio Columella, 4 – 70, scrittore romano di agricoltura scriveva: “intortus cucumis praegnansque cucurbita serpit… gravida qui nascitur alvo- la zucca, per il fatto di essere un contenitore di semi, ha un ventre gravido, simbolo del donare vita”.

Questo dono di vita della zucca era un pensiero presente anche nella civiltà Celtica, espresso nei rituali del Capodanno, Hallowe’en, la notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre, dove si svuotavano le zucche e si trasformavano in teste, con un lume all’interno per accogliere l’arrivo dei defunti e la nascita del nuovo anno, momento in cui si mescola vita e morte.

Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (23 – 79) nella sua opera “Naturalis Historia” fu il primo a chiamare “cucurbita” la zucca: “Aliorum fructus in terra est, aliorum et extra, aliorum non nisi extra quaedam iacent crescuntque, ut cucurbitae et cucumis; eadem pendent, quamquam graviora multo etiam iis, quae in arboribus gignuntur - Di alcuni il frutto è nella terra, di altri anche fuori, di altri solo fuori. Alcuni giacciono e crescono, come zucche e cetriolo; gli stessi pendono, sebbene anche di molto più pesanti di quelli, che sono prodotti sugli alberi”.

A tavola, con i greci e i romani, la zucca era sempre presente, probabilmente sin troppo, tanto che il poeta Marco Valerio Marziale, 38 – 104, ne scrisse un divertente epigramma:

“…. Cecilio è l’Atreo delle zucche

così bene le taglia in mille pezzi,

come se fossero i figli di Tieste.

Subito le avrai nell’antipasto

e ne avrai ancora

alla prima portata e alla seconda

e alla terza ancora zucche avrai

e infine ancora zucche per dessert.”.

Si può dire che Marziale aveva ragione nel dolersi, la zucca, al tempo, non era quella gialla che usiamo noi oggi, che proviene dalle Americhe, era di origine indiana ed era quasi senza sapore, così i cuochi romani potevano impiegarla in mille piatti diversi.

Da questo, forse, ha avuto origine il proverbio “ad sal, ad mel, ad piper, semper cucurbita est” ossia, “col sale, col miele, col pepe, sempre zucca è”.

Marco Gaio Apio, I s. d.C., nel suo trattato “De re Coquinaria” ci porta tra le cucine della Roma ricca e fastosa, nel Terzo Libro, dedicato alle verdure, da una ricetta per un antipasto di zucca: “Cucurbitas more Alexandrino, Zucche alla maniera Alessandrina: cospargi di sale le zucche lesse, mettile in padella con pepe, comino, seme di coriandolo, menta verde, radice di laser, bagna con aceto; aggiungi caryote, pinoli, miele, salsa d’Apicio, mosto cotto e quando bolle, cospargi di pepe e servi”.

Nel tardo latino, il significato di zucca, “cucutia”, è inteso come testa e, quando si passò alla lingua “volgare”, divenne “cucutica”, poi cocuzza, infine, zucca.

Dante Alighieri utilizza così la zucca con il significato di testa, nell’ottavo cerchio delle Malebolge infernali:

«Perché, se ben ricordo,

già t’ho veduto coi capelli asciutti,

e se’ Alessio Interminei da Lucca:

……..

Ed elli allor, battendosi la zucca:

«Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe

ond’ io non ebbi mai la lingua stucca».

La zucca non è sempre stata simbolo felice, ha ispirato anche metafore negative, come nel Medioevo, dove il legame del suo nome, “cucurbita”, era affine a “cucurbitatio”, che indicava una relazione extra coniugale tra il vassallo e la sposa del suo signore. Il signore tradito, per svergognare pubblicamente l’accoppiamento illegittimo, faceva piantare nell’orto del vassallo una “cucurbita”, ossia una zucca. Fu così che la povera zucca si prese le ire sia del marito abbindolato e sia del vassallo.

La zucca si rifece con Borso d’Este, 1413 –1471, duca di Ferrara, il quale, dopo aver bonificato dei terreni sabbiosi lungo il fiume Po, fece piantare delle zucche, che crebbero bene e ne nacque la celebre ricetta dei “cappellacci” di zucca. Il Duca eresse la zucca a suo emblema.

Dispregiativa fu, invece, la considerazione della zucca negli aneddoti, nelle novelle e nei proverbi di Anton Francesco Doni, 1513-1574, scrittore fiorentino, che scrisse un testo scapigliato, ricco di pedanteria e bizzarria proprio dal titolo “La zucca”, pubblicato il 1552.

Da sempre la zucca ha però stimolato la fantasia e ancora è protagonista di molte storie, basti ricordare la fiaba di “Cenerentola”, dello scrittore francese Charles Perrault, 1628 –1703, un grande classico che ha accompagnato generazioni di persone:

“Va in giardino e portami una zucca. Cenerentola subito andò a cogliere la più bella che le riuscì di trovare e la portò alla comare, senza capire come mai quella zucca l’avrebbe fatta andare al ballo. La comare la vuotò e quando fu rimasta solo la scorza, la percosse con la sua bacchetta. La zucca fu subito mutata in una bella carrozza tutta dorata.”

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