Anche Greco di Tufo compie cinquant'anni
di Nino d'Antonio
C’è un’impennata di orgoglio – alquanto tardiva, ma legittima – nel piccolo esercito di viticoltori (poco più di ottanta) che fanno ressa per sottoscrivere la nascita dell’Associazione Vini d’Irpinia. E’ l’aprile del 2003, e nello studio del notaio Baldari si respira un’aria di riscatto. Basta con le generose quantità di Aglianico destinate alle cantine del Nord; basta coi vini sfusi e con una produzione confusa e anonima.
E’ solo il primo passo (i grandi nomi non sono molti: Feudi di San Gregorio, Mastroberardino, Terredora, Antonio Caggiano, Molettieri), ma segna l’inizio di una svolta che cambierà le sorti dei vini irpini. Nel ’70 è maturata, intanto, la Doc per il Taurasi e il Greco di Tufo. Entrambi destinati a conquistare la Docg, nel giro di qualche decennio, unitamente al Fiano di Avellino.
Siamo ormai su un piano inclinato, che non mancherà di favorire il crescente riconoscimento dei vini d’Irpinia, e soprattutto la loro sicura identità. Un Taurasi che si rispetti può reggere il confronto con un Barolo, e il Fiano e il Greco non hanno niente da invidiare ai più celebrati Bianchi.
Ne parlo con Stefano Di Marzo, Presidente del Consorzio di Tutela e titolare della Cantina Torricino di Tufo. “Sì, la riscossa c’è stata, al punto che quella iniziale pattuglia oggi supera i cinquecento soci, fra vignaioli, produttori e imbottigliatori. Aggiunga che nel settembre del 2017, il Consorzio ha ottenuto dal Ministero l’erga omnes, il che significa che la nostra vigilanza nonché ogni iniziativa promozionale si estende anche alle cantine non iscritte…”.
Ma non è di certo il riconoscimento della Docg a rivendicare la lunga storia del Greco. Intanto, è uno dei pochi Bianchi che si prestano all’invecchiamento, nelle due denominazioni: Greco Bianco e Greco Spumante, entrambi legati a quel territorio compreso nel Parco Regionale del Partenio, a un’altitudine che va dai 300 ai 700 metri. Un identikit quantomai contenuto, visto che si limita a ricostruire…
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