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Pisello misterioso, un po' poeta ma sempre buongustaio

di Enzo Gambin

Il Pisello è sempre stato protagonista nei racconti per l’infanzia e nei fumetti. Chi non conosce la fiaba “La principessa sul pisello” di Hans Christian Andersen, oppure Pisellino, il figlio adottivo di Braccio di Ferro, creato nel 1929 dal disegnatore Elzie Crisler Segar. La Cirio, tra gli anni Sessanta e Settanta, ha promozionato i suoi piselli in scatola con il programma televisivo Carosello, creando il personaggio del “Buongustaio”, un uomo con i baffi, che entrò nel vissuto alimentare di tutti gli italiani.

Il pisello è sempre stato un grande interprete della cucina italiana, protagonista di primi piatti, contorni e torte salate. E’ star della cucina francese. Demetra, o Cerere, dea della terra e dei cereali, a primavera festeggiava con un piatto di piselli freschi il ritorno della figlia Persefone, o Proserpina, che risaliva dal regno dei morti e riportava il risveglio delle piante. Presumibilmente questo “piatto di piselli freschi” era legato ad antichi riti agrari della fecondità della terra e della ricchezza. I piselli, come tutte le leguminose, hanno il potere di rendere più fertili i terreni, perché con le loro radici fissano l’azoto al suolo, che è l’elemento base per la formazione della clorofilla, delle proteine, degli acidi nucleici e degli aminoacidi. Questa grande capacità dei piselli di rendere più feconda la terra è stata attribuita al dono divino di Dioniso, o Bacco, ideatore dell’arte di coltivare i piselli, oltre che della vite. Questa prerogativa valse a Dioniso l’appellativo di Erebinthinos. Qui nasce l’enigma, perché la parola Erebinthinos potrebbe trovare radice nel nome latino “heredĭtas”, dal significato di “trasmettere un’eredità”. Quando si parla trasmissione ereditaria e di piselli il pensiero va a Gregor Johann Mendel, 1822-1844, scienziato che, dai piselli, trasse le fondamentali osservazioni sull’”ereditarietà biologica”. Dall’”eredità biologica” nacque la scienza della genetica.

Si pone ora il problema, forse immaginario: ”La civiltà che ideò il nome Erebinthinos possedeva già conoscenze sull’ereditarietà genetica, conoscenze andate poi perse e riscoperte tremila anni dopo?

Forse quell’antica civiltà aveva fatto le sue osservazioni proprio sui “piselli”, come Mendel?”

Non lo sappiamo.

Su un ragionamento così delicato non possiamo, però, non assegnare la parola a Dante Alighieri che, nel XX canto del Paradiso, invitava a una comprensione meditata della avvenimenti:

Io veggio che tu credi queste cose,

perch’io le dico, ma non vedi come;

sì che, se son credute, sono ascose ...

Certamente il gaudente Apicio, I sec. a.C., nella sua, o presunta tale, opera De re coquinaria, ha sorvolato su questi problemi pseudo-filologici e ha dedicato ai piselli un intero capitolo di ricette, il Quinto. Senza rischio di sbagliare, quest’antico gastronomo era convinto che la mente e il corpo fossero fatti della stessa “pasta”, però “prima mangiare poi filosofare”.

Su questo parere è pure il “Liber de coquina”, o “Libro di cucina”, una delle più importanti testimonianze sulle abitudini alimentari del tardo Medioevo, quando s’insegnava che i piselli vanno prima lessati in acqua, poi passati in padella con del lardo e schiacciati con un cucchiaio, così da renderli cremosi. Tutta questa purea si versava nella prima acqua di cottura e il tutto diventava una zuppa, da mangiare con pane sbriciolato.

Nel Medioevo i piselli non erano come quelli che si coltivano ora, erano più farinosi e adatti a creare dei densi brodi.

Martino da Como, il più importante cuoco europeo del secolo XV, a lui si deve la stesura del Libro de Arte Coquinaria, insegnava “Piglia i peselli con le scorze come stanno et fagli dare un boglio. Et togli carne salata et tagliata in fette sottili et longhe mezo dito et frigele un poco. Et depoi mitti i piselli accocere con ditta carne. Et ponevi un pocho de agresto, un pocha de sapa et un pocha de canella.“, che, in termini attuali, significa: “Prendi 500 g di piselli, 150g di carne secca salata, olio, aceto, sapa (sciroppo d’uva ottenuto dal mosto) e cannella; pulisci i piselli e falli bollire fino a cottura in acqua e sale; taglia delle striscioline di carne salata e friggile in olio; aggiungi i piselli, un cucchiaio di aceto, uno di sapa e una spolverata di cannella; cuoci per 5 minuti”.

Per avere in cucina dei buoni piselli bisogna però saperli coltivare. A questo ci pensò uno dei maggiori poeti italiani Luigi Alamanni, 1495 - 1556, con “le Coltivazioni”, un poemetto dedicato a Francesco I di Francia, che pubblicò a Parigi nel 1546

Or ne vien la stagion, Bacco e Pomona, …………

In sì fatta stagion si puote ancora,

Per chi n’abbia desir, sementa dare

Al crescente pisello, …

ch’a dirne il vero

Aman, più che Scorpion, l’Aquario e i Pesci.

I piselli erano apprezzatissimi alla corte di Francia. Piacevano se raccolti verdissimi, prima della maturazione: «Più sono giovani, più sono eccellenti», scriveva Nicolas de Bonnefon, 1545-1607, maestro di sala a servizio del re.

Madame de Maintenon, 1635 – 1719, racconta la passione per i verdi legumi che furoreggiava a fine Seicento in Francia, alla corte di Luigi XIV «Il capitolo dei piselli dura ancora: l’impazienza di mangiarne, il piacere di averne mangiati, la gioia di poterne mangiare ancora sono i tre punti che i nostri principi trattano da quattro giorni. Ci sono dame che dopo avere cenato col re, e bene, si fanno preparare a casa dei piselli per mangiarli prima di andare a dormire, a rischio di indigestione. È una moda, un furore».

Favolosi a tavola, i piselli non persero quella loro naturale capacità di affascinare l’uomo, così troviamo nella poesia Il lauro, di Giovanni Pascoli, un concentrato d’immagini, che celebrano i colori, gli odori e i suoni dell’orto, tra fiori, alberi, fringuelli e capinere ecco spuntare i piselli:

Un’alba — si sentìa di due fringuelli

chiaro il francesco mio: la capinera

già desta squittinìa di tra i piselli

Ancora nel 1991 Roberto Vecchioni cantava “Piccolo pisello (a Ghigo) ”:

Cosa sognerai la notte

quando avrai paura

piccolo pisello mio

piccola avventura

forse sognerai che è dolce

quella tua rugiada.

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