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Felice stagione per l'enogastornomia veneta e Italiana

di P.P.

Quando all’inizio degli anni ’70 approdai in Veneto Beppo Maffioli era un personaggio nel mondo dell’enogastronomia veneta, trevigiana in primis. E non solo.

Questa sua vocazione di cui mi parlarono due persone che ancor oggi affollano i miei ricordi di vita vissuta in terra veneta, il capo redattore del Gazzettino, Carlo Mocci, e l’allora segretario generale della Fiera di Padova, Livio Sirio Stecca, entrambi estimatori della passione di Maffioli per la cultura veneta della tavola e della tipicità dei suoi piatti che tradusse, poi, per i tipi della Muzzio Editore, in numerosi volumi di cucina.

Personaggio eclettico, fu attore, autore e registra teatrale, conduttore radiofonico e ideatore di originali programmi e pièce teatrali di grande spessore culturale, ma prima di tutto è stato interprete e cofondatore della prima realtà giornalistica, veneta, proiettata ad esaltare piatti e vini regionali: dal connubio con l’attuale editore direttore, Annibale Toffolo, con cui fondò, nel lontano 1974, il periodico Vin Veneto.

Una rivista che per i contenuti e le suo originali copertine, riproduzione di quadri di artisti affermati, voluti e selezionati dal “gregario” Toffolo, formatosi culturalmente all’Accademia d’Arte di Venezia, che seppe dargli quel tocco di originalità in più da farne un “oggetto” da collezione.

Nello spirito e nei contenuti, peraltro, la rivista, che in quel periodo si stava confrontando con un altro grande testimone della gastronomia veneta (“Il Vino” di Isi Benini); lo spessore professionale di Maffioli fecero di Vin Veneto un grado di esaltare una così preziosa identità culturale dei cibi e dei vini del Veneto.

Lo individuò in Giovanni Vicentini, giornalista di profonda formazione e divulgatore dell’arte gastronomica italiana, direttore della Rai di Bologna e presidente della Fondazione Salieri di Legnago (sua città d’origine), che nel 1987 ne assunse la direzione e dopo il naturale rodaggio, senza sconvolgerne l’identità e la sua linea editoriale, mutò, portandola alla cadenza bimestrale, il suo nome identificativo in “Taste Vin”, di certo più aderente al mutare dei tempi e per continuare ad essere testimone di una enogastronomia che doveva saper coinvolgere le generazioni del secondo ma anche quelle del terzo millennio.

Il mio personale rapporto con entrambi è stato di grande e affettuosa, solidale, amicizia anche se l’inizio, con Beppo Maffioli, fu abbastanza tumultuoso, prodromo di uno scontro di due segni di fuoco zodiacali (lui Toro io Leone) che non intendevano cedere “il passo”.

Ma il tutto si ricompose in occasione di una luculliana e amena cena, in occasione di un Vinitaly, nelle cantine di villa Bolla (in piazza Cittadella Verona) dove ci ritrovammo fianco a fianco a parlare di una delle prelibatezze del buon mangiare, rustico, veneto: pasta e fagioli di quelle “dove il cucchiaio resta in piedi”.

Fu un conversare amabile, genuino, fatto di sintonie che hanno lasciato il segno nella mia professione passata e presente che si è sempre uniformata a quel rigore che, non volendo, forse, il maestro Maffioli mi ha inculcato nel nostro proseguo nonostante sia stato troppo breve anche se rivivo con grande lucidità in queste poche righe vergate per sottolineare lo spessore umano e culturale di un uomo cui il Veneto deve molto.

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