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Ode alla Polenta

di Leone Mani

È in un momento di relax, alla fine di una gara di Golf a Trieste, tra le riflessioni sull’andamento del gioco, chi più felice per aver giocato bene, Florio, chi meno per i molti putt sbagliati, Dante, Livio era in Spagna, per cambiare argomento e migliorare l’atmosfera, che ci si mise a fare considerazioni per pianificare una sessione della Banda dei Fornelli. Emerse che Dante (Leone per la cronaca) stava così rimuginando su cose emerse dalla sua memoria legate alla Polenta ed alla sua storia ed uso. Florio colse subito la palla al balzo…a casa mia in Ottobre (aveva già intenzione di invitare alcuni amici per la degustazione tra cui anche Annibale Toffolo) …vedi, rivolto a Dante, di pensare a come strutturare la giornata, il menù, e saremo noi questa volta a proporgli il tema:” La Polenta”. Così nacque l’idea “dell’Ode alla Polenta”. In un primo momento restai perplesso, perché la polenta, di per sé stessa, rappresenta quasi sempre una base per un piatto unico e corposo, ma poi mi dissi dai che comunque la storia è interessante, e poi da cosa nasce cosa. Come sempre basta lasciare la mente libera e tutto riappare, come in un film al rallentatore, il nostro vissuto.

Storicamente è assodato che il mais sia originario dell’America centro-meridionale, come risulterebbe da scavi compiuti in Messico che hanno riportato alla luce residui di questa pianta risalenti a 7000-8000 anni fa.

Come risaputo fu Cristoforo Colombo che nel 1492 segnalò l’esistenza di pannocchie di “mahiz” che gli indigeni americani utilizzavano bollite o cotte sul fuoco. Nel XVI° secolo il mais sbarcò in Europa con il nome di granoturco (dove “turco” indicava la sua provenienza “straniera”) e la sua coltivazione si diffuse ben presto poiché aveva una resa molto superiore a quella cereali in uso a quell’epoca, tra cui il farro di memoria Romana.

Infatti, proprio Apicio ne dà testimonianza, il grande gastronomo e scrittore degli usi Romani, nei suoi scritti. Sotto forma di “polentine”…

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