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L'autoctona Ribolla

di Elisabetta Curci

Il vitigno Ribolla gialla è un antico vitigno autoctono del Friuli-Venezia Giulia, coltivato fin dall’epoca romana nella sua zona di eccellenza, ossia nelle colline attorno a Rosazzo. In Slovenia e Croazia prende il nome di Rebula, e si ritiene che la sua origine fosse proprio nelle isole meridionali della Dalmazia o più a sud fino a Cefalonia, da cui alcuni ritengono che sia stato importato in Friuli ad o pera di mercanti veneziani in epoche più recenti, ossia attorno al 1100. Il suo territorio di eccellenza è comunque la zona collinare tra Udine e Gorizia, quindi nelle denominazioni DOC Isonzo, Collio e Friuli Colli orientali DOCG. Eccellenti risultati dà anche la “rebula” del Collio Sloveno. Il vitigno Ribolla gialla non si è mai diffuso in pianura, predilegendo terreni asciutti e collinari dove dà origine a vini intensi e strutturati.

Antichissimo vitigno coltivato in Friuli-Venezia Giulia nelle province di Gorizia e Udine, nelle colline slovene della “Goriska Brda” e, per il passato, in Istria. Trattasi di un vitigno autoctono della provincia di Gorizia; per taluni Autori la Ribolla corrisponderebbe all’”Avola” dei romani. Altri sostengono che il “Pucinum” romano avesse come base la Ribolla.

Passando alla storia relativamente più recente, numerose sono le citazioni del “Vino Ribolla” come vino di qualità primaria tra i diversi vini del Friuli.

E’ il vino che ha assistito e partecipato alla storia del popolo friulano degli ultimi settecento anni. E lo ha fatto spesso da prim’attore. Dal 1300 fino alla comparsa sulle scene del Picolit verso il 1770, la Ribolla, soprattutto quella di Rosazzo, sarà il vino- bandiera del Friuli di allora.

Vino capace di assecondare le infinite variabili di gusto che fino ad oggi si sono susseguite. Vinificato in purezza o con altre varietà, è uscito indenne da profonde critiche.

Moderno e attuale perchè im-

mediato, semplice, facile e pulito; moderno e attuale per il suo enorme “bagaglio” culturale accumulato in tanti secoli di storia del gusto. Fino agli anni Trenta, quando la coltivazione della Ribolla era ancora abbastanza estesa, il vino venduto con quel nome era prodotto con una decina di varietà: “ribuele zale, ribuele verde, ribuelat, gran rap (detto anche paje debits), agadene (agadele), pogruize, cividin, cividin garp, prossecco, coneute, glere gruesse, glere secie”. Levi, già nel 1877, nella sua Nota sul presente dell’Industria vinifera nel goriziano, sottolineava come “Ribolla fosse nome generico di uve o di vini bianchi delle colline alla cui fattura concorrevano parecchi vitigni, fra cui soprattutto Ribolla e Glera”. Sempre Levi, riconoscendo alla Ribolla di crescere bene nei terreni aridi e sterili di arenaria stratificata con ponca e magra marna, implicitamente affermava che la Ribolla era varietà adatta solo alle colline eoceniche, con vigneti in ottima esposizione.

Ribolla che porta con sé tradizioni ancora in uso, come quella di berla dolce. Fino agli anni Cinquanta-Sessanta, la Ribolla veniva raccolta molto tardi, anche a metà ottobre, per raggiungere concentrazioni zuccherine consistenti, finiva che, con l’arrivo dei primi freddi, si bloccava o rallentava di molto la fermentazione (infatti le cantine all’avanguardia dell’epoca erano dotate di riscaldamento e non del gruppo frigo come è in voga attualmente); prendeva vita così un vino piacevole, amabile, ricco di carbonica e pronto per esser bevuto ai Santi con le castagne.

Poi le tecniche si affinarono fino ad arrivare alla filtrazione con i sacchi olandesi e alla messa in bottiglia ancoramdolce per ottenere una leggera rifermentazione. Il successo di tale proposta divenne “moda” fino ad identificare ancora una volta con il nome Ribolla tutti i vini un po’ dolci e torbidi che si vendevano nelle osterie per le feste dei Santi e che molto spesso Ribolla non erano. Poi la moda passò e si trasformò in tradizione che, seppur in tono minore, è ancora viva per i primi di novembre.

Contro tale “piacere” intervenne la legge già nel 1865, con un avviso promulgato il 24 agosto dalla Congregazione Municipale della R. Città di Udine a firma di P. Pavan che diceva: “A prevenire i danni che derivano alla salute dall’uso troppo precoce dei vini nuovi, l’inclita I. R. Autorità Provinciale ne vietava per il passato la vendita fino alla ricorrenza di S. Martino...

A tutti è noto come il mosto non bollito (Ribolla) ed anche il vino, sebbene abbia percorsa una regolare fermentazione, quando non sia riposato per lunga serie di giorni e spogliato interamente delle parti eterogenee... e perciò l’onorevole Giunta Centrale di Sanità ha deliberato: Nelle osterie ed altri luoghi, ove se ne fa smercio minuto è proibita la vendita del mosto (Ribolla) e dei vini fin a tutto il mese di ottobre.

Si beveva per la ricorrenza dei Santi e la sera dopo le celebrazioni dei Morti, con le castagne cotte nell’acqua con l’alloro e alla brace.

Ribolla: vino dalle infinite capacità di rigenerarsi, fino a riemergere per meriti propri quando agli inizi degli anni Settanta, fu vinificato in purezza, presentato secco e proposto con convinzione sui mercati. Il successo raccolto, anche in campo internazione, da questo vino antichissimo interpretato in chiave moderna, smentì i numerosi detrattori, confortando allo stesso tempo quel piccolo drappello di “tifosi” che si erano battuti sia per la sopravvivenza che per la diffusione poi di questo vino storico.

A proporre una Ribolla al di sopra delle righe (vendemmia tardiva, affinamento in barrique) ci hanno pensato in pochi e con risultati ancora in via d’interpretazione. Come dire che ben altre sono le tipologie bianche (francesi acclimatate, prima ancora che autoctone) hanno i numeri per essere guidate dalla vinificazione all’invecchiamento. La spumantizzazione (“Charmat” o Classico”) sembra aver attratto alcuni produttori.

Negli uvaggi la Ribolla gialla, per la sua “neutralità” e l’elevata acidità costituzionale è buona comprimaria, prima che protagonista. In purezza evidenzia tutta la sua piacevole freschezza (vinificazione in bianco, affinamento in acciaio, controllo termico) che ne fa un partner ideale con tutti gli antipasti a base di pesce.

Va servito fresco (7-9 gradi circa).

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