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Cinquecento: legame tra i fagiuoli e il Veneto

di Enzo Gambin

Immaginiamo d’entrare in un cucina romana di duemila anni fa e troveremo ben poco di diverso dalle nostre attuali, a parte gli apparecchi elettrici. Le pentole, i tegami, i cucchiai di legno, i coltelli, le stoviglie, i vasi d’argilla e di vetro erano molto simili ai nostri, come pure il modo di cucinare, con l’uso d’erbe per rendere piatti più gustosi e il pane, presente a ogni pasto. I Romani non avevano il ketchup, la salsa di pomodoro, ma ne usavano una di pesce, chiamata garum. La vera differenza tra la cucina romana e la nostra sta allora nei prodotti, perché tanta parte di quelli che ora utilizziamo arrivano dal Novo mondo, come i fagioli.

Non che il fagiolo fosse sconosciuto prima della scoperta delle Americhe, solo che erano diffuse alcune varietà di origine Africana ed Asiatica, erano piccoli, bianchi crema, macchiati di nero presso l’attaccatura. Proprio per quest’ultima caratteristica erano conosciuti come “fagioli con l’occhio”, chiamati “Dolichos”, appartenenti alla specie “Vigna sinensis”. Apicio, gastronomo del I sce. a.C., proponeva questi fagioli in tre ricette diverse: in una li lessava e li condiva col sale, poco vino, cumino e olio; nella seconda li consigliava fritti e conditi con salsa acida di vino e insaporiti con pepe; nella terza suggeriva di lessarli dentro i baccelli e poi insaporiti con finocchio e garum, si accompagnavano ai salumi.

Durante il Medioevo, grazie alle loro proprietà nutritive, divennero il simbolo cristiano di continenza e umiltà. Poi arrivò lui “il fagiolo del Nuovo mondo”, ora scoprire perché la sua diffusione si può legare alla terra veneta.

Cristoforo Colombo, di ritorno dal suo secondo viaggio nelle Indie, ovvero le Americhe, fece pervenire a Papa Clemente VII, 1478 – 1534, un sacchetto di semi tondeggianti e a forma di in piccolo rene. Incuriosito per l’aspetto, Sua Santità li consegnò ad un canonico e umanista bellunese Pierio Valeriano, 1477 – 1558, al secolo Giovanni Pietro Bolzani dalla Fosse.

Il prelato eseguì con cura il dovere, seminò, seguì con cura la germinazione e la maturazione e, quale fu la sua sorpresa, nel costatare che i semi raccolti erano più abbondanti, più grandi, più lucidi, dei fagioli con l’occhio nero. Euforico per il successo, monsignor Pierio volle dar conto al lavoro al Papa e, avuta udienza, si presentò con i fagioli già stufati e posti su vassoi di rara maiolica di Faenza. All’incontro con Clemente VII erano presenti anche dei cardinali, che espressero apprezzamenti per questa novità gastronomica. Il Pontefice, intuendone il valore nutrizionale, ordinò di organizzare la coltivazione su larga scala. Pochi anni dopo, il pittore cremonese Annibale Caracci, 1560 – 1609, poneva su tela “Il Mangiatore di fagioli”, a testimonianza di quello che era uno degli alimenti più diffusi del tempo. Quasi contemporaneo del Caracci fu lo scrittore e cantastorie bolognese Giulio Cesare Croce, 1550 – 1609, che con il suo “Bertoldo”, dimostrò quanto i fagioli fossero importanti nella dieta del popolino di fine Cinquecento.

La storia di Bertoldo ebbe varie versioni, incuriosisce tuttavia, dato che è ambientata alla corte di re Alboino, a Verona, nella sua ultima versione, “Le sottilissime astutie di Bertoldo” del 1606, il personaggio Bertoldo provene da Roveré Veronese.

Con grande perizia il Croce unisce l’astuzia di Bertoldo con la cucina del tempo, è la storia di un di contadino, Bertoldo, che il re Alboino volle tenere accanto a sé come consigliere. Bertoldo però non riuscì ad adattarsi alla vita di palazzo: “mentre ch’ei stette in quella corte, ogni cosa andò di bene in meglio; ma essendo egli usato a mangiar cibi grossi e frutti selvatichi, tosto ch’esso incominciò a gustar di quelle vivande gentili e delicate s’infermò gravemente… i medici non conoscendo la sua complessione, gli facevano i rimedi che si fanno alli gentiluomini e cavalieri di corte; ma esso, che conosceva la sua natura, teneva domandato a quelli che gli portassero una pentola di fagiuoli con la cipolla dentro e delle rape cotte sotto la cenere, perché sapeva lui che con tal cibi saria guarito; ma i detti medici mai non lo volsero contentare. Così finì sua vita.”

Il re si pentì di non aver dato al povero Bertoldo la medicina giusta e fece incidere sulla sua tomba questo necrologio: “In questa tomba tenebrosa e oscura, giace un villan di sì deforme aspetto, che più d’orso che d’uomo avea figura, ma di tant’alto e nobil’intelletto, che stupir fece il Mondo e la Natura.

Mentr’egli visse, fu Bertoldo detto, fu grato al Re, morì con aspri duoli per non poter mangiar rape e fagiuoli.”

In conclusione, il papa Clemente VII ha lasciato traccia di se per il suo grande mecenatismo e pure il merito di aver compreso il grande valore alimentare dei fagioli del Nuovo mondo.

A monsignor Pierio Valeriano e al fantastico “Bertoldo”, due veneti, va l’azione lodevole di aver promosso e divulgato il consumo dei fagioli.

Forse anche grazie a questo buon risultato monsignor Pierio Valariano ottenne la cattedra d’eloquenza al Collegio Romano, l’Università del Pontefice e, dopo la morte di Clemente VII, tornò a Belluno.

Nel 1527 lasciò per sempre la città natale e si recò a Bologna, poi a Ferrara e infine a Padova dove visse fino alla morte, dedicandosi agli studi e alla redazione degli Hieroglyphica, opera considerata il suo capolavoro.

A Belluno monsignor Pierio lasciò i suoi fagioli che si riprodussero in una piccola valle, la Comunità Europea ne riconobbe dell’indicazione Geografica protetta: “Fagiolo di Lamon della vallata Bellunese IGP”.

Intanto l’antico “fagiolo con l’occhio” si unì con i fagioli di oltre Oceano, dando nuove generazioni di fagioli borlotti, cannellini, zolfini, toscanelli, spulciarelli, che ancora rallegrano le tavole. Sono poi numerosissimi i film dove i fagioli figurano nei titoli e nei contenuti, da Champagne e Fagioli del 1979, La principessa sui fagioli del 1997, Jack e il fagiolo magico del 2005, senza contare i film con Bud Spencer e Terence Hill e i loro fagioli alla messicana e la canzone “Pasta e fagioli” di Lino Toffolo.

Rimane ora solo da dire le capacità nutrizionali del fagiolo: è un alimento ricco di proteine vegetali, ne contiene tra l’8 ed il 20%, è privo dei grassi e ha un alto contenuto in fibre.

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