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Storia e storie dei Miotti di Breganze

di Giancarlo Saran

Ci sono storie che vanno oltre quello che può far immaginare l’etichetta. Con la famiglia Miotti si possono scoprire vicende di uomini che sono passati, in epoche diverse, ... per Firminopoli, come ha ben descritto la loro cantina, e quindi il loro mondo, Oliviero Beha. Lo stato dell’arte lo ha narrato Toni Di Lorenzo che ha raccolto le memorie di famiglia usando, come bussola nel tempo, il libro degli ospiti che, per cinquantanni, ne ha registrato le gesta. “I Miotti. La famiglia, i vini, gli amici” è uscito da poco, per l’Occhio del Ciclope. I Miotti sono vignaioli da sempre. Nonno Pietro Miotti era una certezza in quel di Breganze. Le botti venivano consegnate su carri trainati da buoi in tutto il circondario. Fu lui a trasmettere al giovane Firmino la passione per queste vigne che avevano le radici ben salde nella tradizione. Firmino che divenne ammiraglio di cantina molto presto, a 22 anni nel 1958. Innovò in breve tempo ciò che la tradizione consolidata dava per immutabile. Ben presto casa Miotti divenne un faro di riferimento per molti appassionati. La cantina un punto di incontro delle storie più diverse. Firmino decise che il cambio di passo era oramai giunto. Il vino bisognava imbottigliarlo, così poteva raggiungere anche cantine lontane di appassionati e non più solo dell’oste oltre la collina. Il giro a Firminopoli cominciò a registrare numeri (e nomi) importanti. Tra i primi Pietro Germi, il regista di Signore & Signori, Palma d’oro a Cannes nel 1965. A portare Germi in quota Miotti fu Virgilio Scapin, la cui vita con Firmino si era incrociata anni prima. Una tale affinità e simbiosi di personalità diverse che diede molti frutti. Innanzitutto i pellegrinaggi di personaggi del cinema (a Germi seguì poco dopo Ugo Tognazzi), della letteratura, dell’arte di cui Scapin era calamita naturale, nella sua libreria “Due Ruote” di Vicenza, ma anche perchè fu proprio Firmino a dare libera ispirazione al cittadino Scapin con le sue storie rurali. Sintesi di questo rapporto, che durò quasi cinquantanni, il più famoso libro di Scapin “I Magnasoete” (letteralmente i Mangiacivette), un affresco della vita di campagna che ha lasciato il segno nella letteratura italiana del secondo novecento. E qui si inserisce un altro habituè della cantina Miotti, l’austero Neri Pozza, scrittore ed editore, “dal carattere ruvido come la carta vetrata”. Questo trittico, Scapin scrittore, Neri Pozza editore, Firmino Miotti motivatore del benessere di entrambi, portò ad un sodalizio importante. Oramai nella cantina Miotti il traffico iniziava a diventare intenso. La fama del Grujaio aveva intrigato Bepo Maffioli e Gino Veronelli, il Torcolato fidelizzava di suo con i sentori di dolce appassimento. I ricordi non potevano più essere affidati a qualche memoria orale sparsa o a poche foto. L’idea la ebbe padre Aniceto, al secolo Silvano Martini, nel 1970, che si inventò il libro degli ospiti così che, sino ad oggi, sono innumerevoli i passaggi di chi ha voluto lasciare una dedica, qualche riflessione, rime in versi, disegni del suo passaggio, saltuario o seriale, a Firminopoli. E qui la storia diventa leggenda. Abbiamo testimonianze di Monica Vitti, ma anche di una giovane e fascinosa Laura Antoneli, nel ‘73, che ancora adesso Firmino ricorda bene, “in 3D”, sebbene ne siano passati di cabernet tra i felici calici. La famiglia Miotti ha sempre frequentato Mario Rigoni Stern. Fu proprio il sergente nella neve a portargli Ermanno Olmi che, da anni, svernava sull’altipiano. “Firmino, se ci fossimo conosciuti dieci anni prima, un paio di film assieme li avremmo fatti”. Chissà in quali parti avrebbero recitato Firmino. Lui e le figlie, Maria Cleofe e Franca, anche fuori dalla vigna hanno lasciato il segno. Le due, piccole, in una pubblicità di Vogue, per una linea di abbigliamento infantile. Papà Firmino, con la faccia da Clint Eastwood un pò così, è ancora effiggiato in diversi manifesti che occhieggiano tra le pareti della pregiata cantina. Cantina eclettica, sede di concerti, dal jazz, al violoncellista Mario Brunello, con Maria Cleofe docente di mandolino al Conservatorio Pollini di Padova. Nelle cantine miottiane hanno spadellato il loro talento culinario i fratelli pluristellati Massimiliano e Raffaele Alajmo. Innumerevoli le foto che testimoniano queste transumanze di esperienze di vita e di talenti diversi come fedelmente registra il libro degli ospiti. Oltre a splendide opere dell’eclettico Neri Pozza vi sono anche i disegni di Jean Michel Folon, un mago dell’arte grafica. Di Folon è la bella copertina del libro, con un’interpretazione molto originale del rapporto tra il vino e l’uomo. Quest’ultimo infilato in una bottiglia, disteso a faccia in su, l’espressione beata e la pancia gonfia, che ne diventa il fondo bombato. Un palmares, quello del libro degli ospiti di casa Miotti, che lascia stupiti, non solo per i nomi che si incontrano, ma anche per alcuni passaggi che descrivono il ben essere che vi si respirava tra le pareti. Uno per tutti quello del poeta Paolo Volponi, ispirato da una degustazione di cui ha voluto lasciare testimonianza a futura memoria: “Evviva il Gruajo/vino forte che fa rima con gennaio ... che allontana di giorno e anche di notte/lo spettro della morte” Si potrebbe continuare citando l’arbitro internazionale Gigi Agnolin; il solista delle Frecce tricolori “Jack” Zanazzo, lo storico Alvise Zorzi. Ma nel libro diario c’è anche una ricca raccolta iconografica che non solo rappresenta una hall of fame di chi è passato per Breganze, ma anche storie minori degli amici, della famiglia ... pure allargata. Viene ricordata con affetto Bube, una bastardina bianca, compagna di caccia di Firmino, come i setter Rocco e i suoi fratelli o Ringo il pistolero. Le redini della dinastia Miotti sono passate, progressivamente, a Franca che, con tratto lieve, ma piglio deciso, ha raccolto un’eredità che poteva essere difficile per molti, ma non per lei. Comiciò a lavorare su un taglio bordolese, il Valletta è figlio suo, posto che il Torcolato non bastava e le altre etichette, al di là del loro valore, erano un po’ di nicchia in un momento storico in cui le tendenze del mercato erano altre. Poi ha applicato altri piccoli, ma progressivi, miglioramenti ottimizzando le sfumature che i diversi vitigni potevano dare. Casa Miotti è l’unica a produrre la Pedevendo, da 100 anni. Si stanno sviluppando nuove avventure, ad esempio un Rosè, mix tra tre pepite bianche (Pedevenda, Marzemina bianca, Vespaiola) e la potenza rossa del Gruajo. Franca che, una laurea in economia e un passato da velocista in atletica leggera, ha le idee ben chiare “mediamente ogni 5-6 anni i gusti cambiano, la sfida è quella di saper innovare, nella tradizione”. Nel congedarsi da questa bella avventura sulle colline di Breganze, magistralmente raccontata dal libro di Toni Di Lorenzo, una domanda è d’obbligo alla dinamica Franca “Esiste il vino perfetto?”, “Nel vino cerco il fascino che intriga, la perfezione nel mondo del vino non esiste” anzi, ne appiattirebbe il fascino.

Chiusa l’ultima pagina una considerazione viene spontanea. Da F.M. (Firmino Miotti) si è passati ad un altro F.M. (Franca Miotti), ma l’identità è la stessa. La storia continua.

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