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Il signor fagiolino o meglio la tegolina

di Enzo Gambin

Il termine fagiolini non è altro che il diminutivo di fagioli, vale a dire dei “piccoli fagioli”; nella realtà la differenza tra i due sta nella struttura del baccello, che nei fagiolini è tenero, carnoso e si mangia tutto, nel fagiolo le valve si separano e la parte edibile è il seme contenuto.

Nelle diverse parlate regionali italiane i fagiolini assumo anche differenti nomi, come nel Veneto, che sono chiamati “tegoline”, ma anche “cornetti”, in Luguria “fasulèini”, in Romagna “fasulén”, in Lombardia “curnèti”, a Gorizia “vuainis”, a Napoli “vajanelluzza” o “curnìcchio”, in Molise “fascellite”, in Sardegna “aioleddu”.

“Cornetti” e “Tegoline” sono però nomi che oramai sono diffusi e accettati da tutti i mercati e dai consumatori, si può dire che appartengono ad un linguaggio italiano corrente.

Con facilità si comprende che l’appellativo “cornetto” è dato dalla forma leggermente arcuata del baccello, vagamente a forma di un piccolo corno.

Più complesso è identificare la parola “tegolina”, che forse proviene dal latino “theca”, la quale si rifà al greco “ϑήκη”, “teca”, con il significato di “contenitore”, o meglio più figuratamente “astuccio”.

In effetti questo ortaggio, raccolto e consumato con semi e baccello tutto intero, darebbe il senso di mangiare un piccolo contenitore, una “teca”, da cui ecco il diminutivo dialettale veneto “tegolina”.

Nella parlata veneta c’è anche un altro nome da cui si potrebbe ipotizzare che derivi “tegolina” ed è “teja”, o “tecia”, o “tegia”, ossia il tegame.

Anche in questo caso dovremo ritornare al greco “τήγανον”, téganon, e al verbo “τήκω”, téko, che, in un ampio senso, indicherebbe “sistemare” o “ricoprire”, che poi è passato alla lingua latina come “těgamen”, ossia “coperchio”, e con il proprio verbo “těgo”, coprire o rivestire.

Dalle due ricostruzioni etimologiche possiamo avvicinare “tegolina” alla rappresentazione di un “piccolo contenitore”, il baccello, che contiene o riveste i semi, quindi una “theca”, e che, perché prima di essere mangiato, dove essere cucinato in una “tegia”.

Sono antiche espressioni della parlata veneta, che portano in sé una cultura pratica che si manifesta con ampi influssi del linguaggio latino e greco.

Considerato il nome ora dobbiamo individuare da dove provengono i fagiolini, ebbene, questi furono portati in Europa da Cristoforo Colombo nel 1493, dopo il suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo.

I fagiolini furono scoperti nelle Americhe Latine e, si crede, siano originari dalle regioni degli altopiani andine, dove si coltivavano probabilmente dal 6000 a.C. e non erano consumati freschi, ma venivano prima essiccati.

Introdotti nel Vecchio Mondo, i fagiolini non ebbero un immediato successo, peraltro fu lo stesso per tutte le verdure provenienti dalle Americhe; solamente tra il Seicento e il Settecento si diffuse la consuetudine di consumarli cucinati come verdura fresca.

Nella Svizzera tedesca è ancora diffusa la pratica di raccogliere i fagiolini verdi, ancora croccanti, puliti e cotti in acqua, e poi fatti essiccare, sono chiamati “dörrbohnen”, da “dörren”, essiccare, e “böhnen”, fagioli e fagiolini.

Il consumo dei dörrbohnen è legato alla preparazione di zuppe e al fanoso “bernerplatte”, “piatto bernese”, prodotto con carni stufate, bovine e suine, e servito con verdure, tra cui i “dörrbohnen”.

Pellegrino Artusi, 1820 – 1911, nella sua opera culinaria “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, uno dei ricettari di maggior successo di fine Ottocento, riporta ben sei ricette con i fagiolini: Fagiuolini colla balsamella, Fagiuolini con l’odore di vainiglia, Fagiuolini dall’occhio in erba all’aretina, Fagiuolini e zucchine alla sauté, Fagiuolini in salsa d’uovo, Sformato di fagiolini.

Oramai da oltre tre secoli i fagiolini fanno parte della cultura gastronomica mondiale e, per coloro che non hanno molto tempo per cucinare, la Bonduelle, la Valfrutta, la Decò e altre aziende hanno creato i fagiolini in scatola e, questo, ha dato l’avvio a notevoli polemiche sull’arte del buon cucinare.

Su questo argomento riportiamo il parere personale di un consumatore, membro di “Opinioni.it”:

“Per un contorno sano una volta ho voluto provare i fagiolini fini della Decò, in vendita solamente negli omonimi supermercati.

La scatola di latta da 400 grammi costa meno di un euro e di tanto in tanto si può reperire in offerta.

I fagiolini si sgocciolano e sono lessati, quindi si possono gustare così come sono oppure si possono unire ad altre preparazioni.

Hanno un bell’aspetto perché hanno un colore vivace e un profumo fresco.

Anche la consistenza mi è piaciuta tanto perché sono morbidi e teneri, quasi si sciolgono in bocca.

Si sente il vero sapore dei fagiolini e questo mi fa capire che è un prodotto fresco.

Io li ho mangiati direttamente così come si presentano e non ho aggiunto nulla, né sale né olio.

Sono stati leggeri e gustosi e mi hanno fatto risparmiare anche tempo perché non li ho dovuti pulire e cucinare. In mancanza di fagiolini freschi, che sono sempre preferibili, questi si prestano egregiamente e si possono condire come si vuole. Li consiglio.”.

Di diverso parere è Leonardo Romanelli, giornalista e gastronomo, che ha inserito un messaggio nella sua rete sociale riportando: “Orrido in cucina - Dei tanti prodotti che vengono ancora confezionati in scatola, i fagiolini in scatola appartengono alla categoria dei meno appetibili.

Sarà per la consistenza o il colore che assumono, di sicuro non sono tra i prodotti che aumentano l’appetito.

Ora il contenitore può anche essere diverso, se entra in uso il tetrapack, ma il disgusto che prende una volta aperta la lattina o il parallelepipedo di carta plastificata rimane epocale.

Volendo raggiungere il massimo dello sgradevole, si possono mangiare in estate, sulla spiaggia con il sole cocente, tuffano le dita sudate nella lattina e cibandosene per pura sussistenza.

L’immagine è forte, d’accordo, ma è una spiegazione di come un prodotto che in natura regala stupende sensazioni, appena sbollentato, anche cotto al microonde, lasciato croccante, possa trasformarsi: Ed anche il colore gioca la sua parte, quel grigio verdastro annichilisce lo stomaco in maniera immediata Anche l’eventuale lavatura sotto l’acqua, in casa, per poi farne insalata non sortisce effetti interessanti.

Da provare come regalo ad amici, veramente poco carini!”.

Lasciando un po’ a lato la gastronomia, i fagiolini sono entrati da qualche secolo anche nel mondo della magia e creano sortilegi in virtù del colore dei loro fiori, che sono bianchi o violetta.

Chi esercita le pratiche magiche, con questi fiori ha la possibilità di preparare con i fiori bianchi dei filtri per fare innamorare; di contro, è possibile produrre con i fiori viola pozioni per rompere fidanzamenti.

In questa leggenda un po’ di vero dovrebbe esserci, perché Alfredo Cattabiani, 1937 – 2003, scrittore e giornalista, nella sua opera “Florari, miti, leggende e simboli di fiori e piante” dedicò un breve capitolo a “Fagiolini e la futura sposa. - I fagiolini hanno ispirato un’usanza toscana, secondo la quale le giovani in età da marito intrecciavano coroncine di fiori e fagiolini appena colti. Se ne adornavano i capelli e durante le notti di plenilunio, al sorgere della luna, danzavano in un cerchio nella radura di un bosco. Alla terza notte la coroncina che era meno appassita indicava colei che entro un mese avrebbe incontrato il futuro sposo.” -

Non si fanno chiamare streghe o stregoni, ma realizzano invece bellissimi brani musicali i “Fagiolini”, un gruppo vocale britannico, fondato da Robert Hollingworth nel 1986, che si è specializzato in musica antica e contemporanea e cantano con straordinaria espressività.

A conclusione possiamo considerare che sia l’espressività gastronomica e sia quella culturale del fagiolino è in costante progredire e crea sempre nuove sorprese e meraviglia, tanto che a lui può adattarsi il pensiero del punto 23 dello “Zibaldone” di Giacomo Leopardi:

“Anche l’amore della meraviglia par che si debba ridurre all’amore dello straordinario e all’odio della noia ch’è prodotta dall’uniformità”.

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