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La nuova Weltanschauung del Pinot Grigio

di Silvia Allegri

Sa adattarsi a diverse tipologie di terreno ma offre il meglio quando viene allevato al nord. È un signore del freddo, che ama le temperature rigide e soprattutto il vento, in grado di asciugare la botrytis cinerea, sua acerrima nemica, e scongiurarne la presenza. È il Pinot Grigio, vitigno umorale in vigna e delicato in cantina. Le sfumature della sua bacca grigia lo rendono eclettico e inconfondibile: vinificato in bianco regala vini dal colore giallo paglierino, in rosso e a contatto con le bucce assume un colore ramato. Ma come avviene spesso alle celebrità, la sua diffusione lo ha portato a diventare, spesso, vittima del proprio successo. Oggi, a difenderne e valorizzarne le potenzialità e a riscriverne la storia, c’è un consorzio con tanti progetti in cantiere. Ce li racconta Albino Armani, presidente del Consorzio del Pinot Grigio delle Venezie.

Un vitigno esigente e delicato che vede una diffusione sempre maggiore. Preparazione e competenza sono ingredienti indispensabili, ma serve anche una certa dose di idealismo, quando si tratta di prendersi carico del futuro di migliaia di viticoltori tutelando un vitigno che raggiunge, ogni anno, i 300 milioni di bottiglie. Siamo nel mondo del Pinot Grigio, vitigno particolarmente diffuso in Germania e Ungheria, e che in Italia trova il suo habitat ideale in Trentino, Veneto e Friuli-Venezia Giulia: l’85% della produzione nazionale si raccoglie proprio nel Nord Est. Di sicuro, per portare in tavola una bottiglia di Pinot Grigio ben fatto serve estrema dedizione, dalla selezione dei grappoli fino alla lavorazione in cantina. “Il Pinot Grigio richiede attrezzature e pratiche enologiche che si addicono ai vitigni più complessi”, spiega Albino Armani. “Qualche esempio? Tra i passaggi fondamentali penso al raffreddamento delle uve, alla macerazione a bassa temperatura, alle fermentazioni controllate, con la possibilità di lavorare in assenza di ossigeno nelle fasi post-fermentative. Ma soprattutto serve la presenza di un enologo davvero esperto: insomma, non è un vitigno per tutti”.

Le nuove regole e le prospettive sul mercato. Si è sempre venduto senza fatica il Pinot Grigio, sdoganato a suo tempo da Santa Margherita, a cui oggi si riconosce il merito indiscusso di essere stata la prima azienda a vinificarlo in bianco. Ma l’autentica esplosione di questo vitigno, passato in dieci anni da 7mila ettari a 28mila ettari, ha richiesto regole più severe, dalla scelta dei terreni di elezione alla resa per ettaro, passata da 190 a 150.

“Il suo successo è un dato di fatto: negli Stati Uniti, mercato di elezione, piace per la facile abbinabilità, l’estrema eleganza, il grande fascino. Eppure oggi il Pinot Grigio continua a soffrire per la sua fama, vedendosi penalizzato nel mercato interno dagli stessi estimatori, che di fronte a una carta vini propendono sempre a optare per altri internazionali, dal Pinot Bianco allo Chardonnay. Adesso è arrivato il momento di riscriverne la storia”. A vantaggio di migliaia di aziende che scelgono la sua coltivazione. Come?

“Esaltando le qualità di un vitigno capace di regalare grandi emozioni, e assorbire il meglio dei territori vocati alla sua produzione, dai profumi tenui di fieno e camomilla nei terreni magri del Friuli, fino ai bouquet floreali con note spiccate di pera matura nella Terra dei Forti”. E che sta dimostrando, oltretutto, un’ottima longevità: se un tempo il Pinot Grigio si vendeva poco dopo l’imbottigliamento, oggi si trovano sul mercato bottiglie che vantano diversi anni di affinamento, e si presentano con un piacevole colore dorato e una spalla acida capace di stupire.

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