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La preziosa ricerca di Pasquale Carlo

di Nino D’Antonio

L’incipit è di quelli che fatalmente tradiscono le radici dell’autore. Perché Pasquale Carlo - giornalista, wineblog, nonché autore di preziosi saggi sulla gastronomia e la viticoltura del Sannio - alla storia della sua terra è quantomai legato.

Un rapporto che non è fatto solo di sicura simbiosi, ma di una carica d’interesse culturale piuttosto rara. Specie se riferita a quella ristretta realtà, che è Castelvenere.

Sorprende, infatti, l’impegno e la lunga ricerca che sono dietro il libro “Vite, viti e vini” in cui viene ripercorsa la storia della viticoltura in questo territorio della Valle Telesina, che vanta di essere il comune più vitato della Campania, con ben 894 ettari di vigneti. Il che significa che – in percentuale, s’intende – batte anche il primato di Marsala. Che supera ovviamente l’intero patrimonio viticolo del Sannio.

Ma torniamo al libro, che conta circa quattrocento pagine, i cui pregi non vanno ricercati solo nella serietà e nel metodo, ma nel garbo espositivo, in quella forma narrativa che cattura il lettore dalle prime righe per tenerlo avvinto fino all’ultima parola del capitolo. E qui va detto che il lavoro di Pasquale Carlo ripropone la straordinaria avventura della vite e del vino nel comprensorio di Castelvenere, fin dalle origini. Un percorso tutt’altro che facile, se si tiene conto che mai era stata condotta un’indagine a tutto campo.

Castelvenere non è Barolo nè Montalcino. Per cui negli anni ha dato luogo solo a una letteratura frammentata, che di volta in volta ha trattato i pericoli dell’oidio, della peronospera, della fillossera. In sostanza, è sempre mancato un discorso unitario, un filo rosso in grado di tenere insieme – e legittimare – le varie fasi di questa lunga e complessa avventura. La quale, prima che di terra e di viti, è fatta di uomini. E questo vuol dire usi, costumi, tradizioni, miti e riti. Insomma, quel complesso di memorie e di credenze, che fa di ognuno di noi il testimone di un’epoca.

Pasquale Carlo si è intrattenuto con sincera emozione, ma anche nel pieno rispetto della storia, sulla genia dei più antichi vignaioli di Castelvenere. Si tratta di famiglie che si sono passate il testimone da una generazione all’altra, senza mai tradire l’orgoglio di dar vita a un buon vino. Ma l’autore fa di più. Passa in rassegna anche quel piccolo gruppo di mediatori (i famosi sensali) che si adoperavano per collocare al meglio il prodotto.

E’ questo un piccolo mondo, ormai uscito di scena, ma che nell’immediato dopoguerra (senza collegamenti ferroviari, e con chiamate telefoniche da prenotare) ha fatto miracoli.

Ma il merito maggiore di Pasquale Carlo è nella scrittura. La narrativa è sempre piana, discorsiva, accattivante. Si ha quasi la sensazione di avere l’autore davanti a noi, che ci parla di Castelvenere, dell’arrivo delle viti americane per salvare i vigneti del Sannio, delle lezioni itineranti di agronomia e viticoltura, fino all’abbandono delle terre e poi al sospirato ritorno dei primi emigrati.

Insomma, un quadro – anche e soprattutto umano – del borgo di Castelvenere, che si è fatto via via paese e poi sicuro habitat per grandi vini, dall’Aglianico alla Falanghina. Siamo così agli esiti di una ricerca impegnativa e appassionata, meritevole pertanto di ogni lode.

Se c’è un debito di riconoscenza di Pasquale Carlo nei confronti della sua terra, può dirsi largamente pagato da questa fatica.

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