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La Pera, frutto tutto al femminile

di Enzo Gambin

La pera, frutto tutto al femminile

Ha forma allungata e prominente nella parte finale, così la pera ha sempre evocato il corpo femminile.

Ancora oggi, si utilizzata l’espressione ha “un fisico a pera”, raffigurando pure il ventre materno, e, questo, ha fatto si che questo frutto si identificasse con Iside, dea egiziana della fertilità, a Afrodite, dea greca protettrice del concepimento, a Era, divinità greca soccorritrice nei parti.

Il sostantivo pero è commesso al greco “πῦρ”, “pyr”, e deriva da una similitudine di “fuoco”, probabilmente per la sua forma somigliante a una fiamma.

È possibile anche un secondo accostamento, perché la parola “pyr”, nell’antichissima radice, esprime il concetto di “ciò che è puro”, così, forse, non fu la forma a dare il nome al pero, ma il candore della sua polpa, tanto che questo frutto lo troviamo associato ad Atena, la dea della purezza e della castità, e, nella raffigurazioni Cristiane, non è insolito trovare immagini della Santa Vergine Maria con una pera in mano o nelle immediate vicinanze.

Omero narra del pero nell’Odissea, lo fa al libro VII, versetto 120, e lo pone nel meraviglioso giardino, chiuso e protetto, “μέγας kέπoς, ερkος”, di Alcinoo, re dei Feaci, dove le piante producevano frutta in continuazione.

“…

un gran giardino è presso le porte dell’ampio cortile,

di quattro iugeri; e tutto d’intorno vi corre un recinto;

Alte vi crescon verdeggianti piante,

Il pero, e il melagrano, e di vermigli

Pomi carico il melo, …..

Nè il frutto qui, regni la state, o il verno,

Pere, o non esce fuor: quando sì dolce

D’ogni stagione un zeffiretto spira,

sopra la pera invecchia la pera, …”

Anche Teofrasto, 370-286 a.C., grande botanico dell’antichità, nella sua “Historia plantarum” cita tre varietà di pero propagate per innesto e riporta che le pere più apprezzate erano quelle provenienti dal Peloponneso.

Nell’antica Roma la coltivazione del pero doveva essere diffusissima ed evoluta, Catone il Censore, 234 a.C. circa – 149 a.C., Columella, 4 – 70, Plinio, 23 –79, riportano numerose varietà di pere, tra cui: Alessandrina, Amerina, Ampullacea, Aniciana, Barbarica, Bruzia, Coriolana, Crustumina, o di Crustumerio, i cui nomi derivano dalla famiglia dei coltivatori o dalle regioni di provenienza, meno frequentemente hanno scritto dalle caratteristiche dei frutti o dal periodo di maturazione, come l’Ordeacea, che si consumava con la raccolta dell’orzo.

Columella ricorda la pera “Sementina”, con frutti di piccole dimensioni che si presentavano a grappolo e maturavano nel periodo delle semine del grano.

Le pere erano prodotte per il consumo fresco, però, tra le bevande fermentate in uso nell’antica Roma, vi era anche un vinello aromatico chiamato “piracium” o “vino di pere”.

Gran parte delle varietà di pere coltivate dagli antichi romani non sopravvissero alle devastazioni delle invasioni barbariche, ma alcune si conservarono all’interno dei monasteri e lo stesso, Carlo Magno, 742 – 814, diede vita alla prima collezione varietale di pero in Francia.

Nelle Confessioni di Sant’Agostino, 354 – 430, nella sua opera autobiografica, “Le confessioni”, racconta che, in età adolescenziale, fu protagonista di un furto di pere “ ….. In realtà, mi spinsi a sottrarre cosa che avevo in abbondanza e di migliore qualità, né certo volevo trarne alcun tornaconto, ma piuttosto volevo ottenerla attraverso un furto, per la soddisfazione di commettere un furto e di peccare. Vi era un albero di pere nei pressi della nostra vigna, carico di frutti, che non certo si facevano desiderare per bell’aspetto, né per squisitezza di sapore. Trascorremmo, giovanetti birbanti com’eravamo, a scuotere e a spogliare quell’albero, a notte avanzata, dopo d’esserci sin allora attardati in piazza, secondo la nostra rovinosa abitudine, nei giochi, e ne portammo via un carico ingente, non per usarne nelle nostre mense, ma piuttosto per gettarne ai porci. ….. “

La coltivazione delle pere ritornò alla grande nel periodo rinascimentale e, nell’”Iconographia plantarum” di Ulisse Aldrovandi, 1522 – 1605, le pere sono ampiamente raffigurate.

Con il Rinascimento le pere divennero produzione artistica con le “Teste Composte” di Giuseppe Arcimboldo, 1527 – 1593, che le utilizzò per rappresentano i nasi dei suo volti raccapriccianti.

Castor Durante da Gualdo, 1529 – 1590, nel suo “Il tesoro della sanità”riconobbe alle pere “qualità” e “nocumenti”: “sono grate al gusto, eccitano l’appetito, corroborano gli stomachi debili e fanno descendere più presto gli escrementi a basso … [per contro] …. mangiate avanti pasto fanno gran danno, nuocono molto a quei che patono dolori colici e ventosità, perciocché generano sangue freddo e ventosità; nuocciono ancora a quei che patiscono renelle e difficoltà d’urina...”.

Re Luigi XIV, il Re Sole, aveva una vera passione per le pere, frutti che incarnavano il gusto delle classi dominanti, tanto che il suo giardiniere, Jean-Baptiste de la Quintinye, 1626 – 1688, nel suo trattato “Instruction pour les jardins fruitierset potagers”, “L’istruzione per orti e frutteti”, raccontava che aveva attuato numerose selezioni di varietà di pere.

Una straordinaria rappresentazione delle le pere la troviamo alla corte fiorentina di Cosimo III dei Medici, 1642 - 1723, dove il pittore Bartolomeo Bimbi, 1648 –1729, ritrasse tutta la frutta nel Granducato di Toscana, tra cui 109 varietà di pere.

Vincenzo Tanara,... – dopo il 1644, agronomo bolognese, nella sua opera “L’economia del cittadino in villa”, riportava un lungo elenco delle varietà di pere coltivate all’epoca “...é di tante spetie, che non è possibile il raccordarsele; Le muscatelle sono così dette dall’odore, ouero moscatelle, per andarci volontieri le mosche; queste da gli Antichi si chiamauano superbe, perché più piccole d’ogni pera, vogliono esser le prime à comparir mature sopra le tauole; di queste, oltre le piccoline, ce ne sono vna spetie più grosse; & una maggiore; le Giugne, si come l’Augustane dal maturare questi Mesi, così si chiamano, conosciamo ancora le ghiacciole, le sauarole, le limone, le sozobone, le zuccheremanua si da Estate, come da Inverno, le batocchie, le rabbiole, le signore, e sopra tutte le bellissime, e gustosissime imperiali, le buon christiane da Inuerno, e da Estate, le loue, le spinose, le Fiorentine, le Francesi più grosse, e di meno durata dell’altre, le sementine grosse, e minute, quali sole ritengono l’antico nome, le granelle, le ruzzine, le zambrosine bianche, e nere, e minute dette giatone, le bergamote, parola Turca, che vuol dire Pera da Signore, ouero Signore sopra tutte le Pera, come nota il Pisonelli, le Cipolle odorate, le carauelle durabili, le cotogne, le fiche, le gnoche, & altre infinite, cò le quali quest’arbore tutto l’anno è d’vtile all’Agricoltore, satisfacendo all’vniuersal gusto, ò con dolci, ò con brusche, ò conl’vno e l’altro congiunti, ò cotte, ò crude, ò in l’vno, o l’altro modo sono buone;...”.

Alla fine del Seicento si diffuse la moda delle “pere dolci da passeggio”, con una nuova figura di ambulante, il “peracottaro”, che distribuiva pere cotte ricoperte di caramello, infilate in bastoncini, da mangiare camminando.

Una suggestiva rappresentazione di questo venditore ce l’ha tramandata Giuseppe Maria Mitelli, 1634 –1718, specialista nell’incisione di stampe popolari.

Giorgio Gallesio, 1817-1839, nella sua monumentale opera “Pomona italiana” riportava varietà 21 di pero in tavole a colori.

Nel 1901 escì il manuale di “Pomologia” di Girolamo Molon, 1860 – 1937, che descriveva decine di varietà di pero.

L’Ottocento fu il secolo dove la pera entrò nella satira con l’opera di Charles Philipon, 1800 –1861, disegnatore e giornalista, che, in “Metamorfosi in pero di Luigi Filippo” propose l’accostamento del volto del re di Francia Luigi Filippo alla forma della pera, definendolo il “Pero di Francia”, con lo scopo di richiamare l’immagine di “testa grossa” o “sempliciotto”.

La pera fu immagine della morale e del valore pedagogico nelle “Le avventure di Pinocchio, storia di un burattino”, di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, 1826 – 1890, la troviamo nel brano del settimo capitolo, dove Pinocchio, incalzato dalla fame, mangia prima la polpa di tre pere offerte da Geppetto, poi, per calmare l’appetito, anche le bucce e i torsoli.

Sergio Tòfano, noto con lo pseudonimo di Sto, 1886- 1973, fumettista e creatore del personaggio “Signor Bonaventura”, ha lasciato una poesia per la pera:

“La vispa Teresa il pero e le pere”

Occhieggian fra i rami

sul pero le pere

che, solo a vedere,

son ghiotti richiami.

La nostra ragazza

con lunga ramazza

le picchia dovere

per farle cadere.

Ma il pero percosso

protesta di grosso:

“Oh, piccola infame,

se batti il fogliame

con mano sì dura

cader fai sull’erba

con quella matura

la frutta anche acerba!…”.

“Può darsi,” modesta

Teresa con testa.

“Se è acerba, però,

riappender si può!

Pino Donaggio, 1941, cantautore e compositore ha creato testi e musica per la canzone

“Pera Matura”

Questa la storia di una ragazza

Che passa è guarda solo i miei amici

Sembra che io non esista per lei

Però son sicuro che sta fingendo

E a la fine cadrà

Come una pera matura...

Ma guarda un po’ non è poi tanto strana

Voleva solo fare la chic

No, non voleva sembrare matura

Come una pera che cade in giù

Ancora fantasia per la pera, con un racconto per bambini di Jakob Martin Strid, 1972, vignettista danese, con “L’incredibile storia della pera gigante”, dove una grande pera fa da mongolfiera per viaggiare verso un mondo fantastico.

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