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Il cachi, tra storia e linguistica

di Enzo Gambin

Il cachi è un frutto che matura sotto il segno della bilancia, l’autunno, ha un bel colore arancione intenso e un sapore dolce, è originario dalla Cina, dove sono ancora presenti forme selvatiche geneticamente simili all’attuale pianta.

Dalla Cina il cachi si diffuse in Corea e in Giappone e, in questo Paese, circa un migliaio di anni fa, si attuò una mutazione genetica, i frutti, che originariamente mantenevano un gusto astringente, con la maturazione diventavano dolci.

Il fatto non fu ignorato, così i Giapponesi ne diedero un significato religioso, come se questa piante avesse nel proprio interno un’armonia che scorreva e si perfezionava raggiungendo la perfezione nel sapore dolce, quindi un “Shinto”, che letteralmente significa “via del divino”. Ancora oggi il cachi è offerto come dono nei santuari shintoisti e, alla festa di Capodanno, il giorno dei morti, quando le anime degli antenati tornano sulla terra, è posto sull’altare di famiglia.

Il termine cachi potrebbe essere l’abbreviazione del nome giapponese “Kaki-no-ki”, dove Ka significa anima e Ki energia vitale.

Cachi non deriva, come alcuni pensano, dal persiano “khak”, che ha il significato di “colore della polvere”, la tipica tinta “kaki” degli abiti coloniali, termine entrato nella lingua italiana dall’inglese; neppure dal greco kakos “cattivo o sgradevole”.

I cachi erano conosciuti anche come “Mele d’Oriente”, perché nati dall’albero delle Sette Virtù, che erano: la longevità, l’ombra del fitto fogliame, la mancanza di nidi, l’assenza di tarli, il verde delle foglie, la resistenza al freddo, la creazione del concime con i frutti caduti.

Il nome scientifico del cachi è Diospyros kaki, attribuita da Carl Peter Thunberg, 1743 – 1828, appartiene alla famiglia delle Ebanacee e al genere Diospyros, assieme ad altre settecento specie di alberi e arbusti.

La parola Diospyros è composta dal greco Diós, di Giove, e pyrós, che ha il significato di “frumento”, allora, “Cachi frumento di Giove”.

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