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“Apartheid” in cucina

di Annibale Toffolo

Se si potesse calcolare quanti uomini e quante donne nel corso dei secoli hanno passato il loro tempo davanti ai fornelli, risulterebbe senz’altro una grossa superiorità numerica di quest’ultime.

E’ però incontestabile che i “grandi” della cucina siano sempre stati gli uomini; a questo punto quell’atavico sustrato maschilista che cova in noi, riaffiora maligno suggerendo facili ed ironiche conclusioni.

Cerchiamo invece di essere obiettivi e considerare il modo diverso con cui i due sessi hanno affrontato la cucina.

Innegabilmente le donne, per eredità ancestrale, sanno cucinare. Lo hanno sempre fatto con diligenza ed amore ma, e questo è il punto, esclusivamente in funzione di qualcuno nel circoscritto ambito famigliare.

Da generazione a generazione le madri hanno trasmesso alle figlie, alle nuore, note gastronomiche, ricette precise e collaudate, gelosamente conservate e scrupolosamente eseguite: il risultato è stata una cucina sana, familiare e gustosa ma poco innovatrice e soprattutto richiedente tempi e fatiche oggigiorno impensabili.

Certo a questo punto si potrebbe discettare a lungo di differenze biologiche, di fantasia, di intuito e genio al maschile ed al femminile, un inutile discorso di causa ed eeffetto ma, la verità è che la donna, nei secoli è stata coartata e che solo da poco può fare, agire, vivere liberamente una sua vita, essere se stessa. Come spesso avviene, c’è ora il rischio di una reazione eccessiva, un rifiuto generale di tutto il lavoro casalingo.

Non è questa la rivista per affrontare tale problema che a noi interessa solo sotto il profilo gastronomico. A mio avviso, se una signora rifiuta di passare il suo tempo in cucina, può essere che la ragione sia da ricercare nell’egoismo e sprovvedutezza dell’uomo.

A questo punto non so quanti di noi sarebbero in grado di lanciare la prima pietra ma se realmente vogliono recuperare almeno in parte il piacere della famiglia, la gioia di ritrovarsi insieme a tavola gustando uno dei…

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