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La castagna, il frutto del pane

di Enzo Gambin

Castagna, il frutto del pane

Autunno, il castagno offre uno dei prodotti più tipici e apprezzati, le castagne, che piacciono a tutti, cotte alla brace, o lessate o ridotte in farina,.

Giovanni Pascoli, 1855 – 1912, definì il castano “l’italico albero del pane”, perché, assieme alle patate, era in grado di risolvere il problema della fame nei periodi particolarmente difficili.

Gli fece eco Grazia Deledda, 1871 – 1936, che scrisse: “Le castagne del piccolo Zuanne scoppiavano fra la cenere che si spargeva sul focolare. ... Eravamo sposi da pochi mesi; eravamo benestanti, sorella cara: avevamo frumento, patate, castagne, uva secca, terre, case, cavallo e cane. …

…. si alzò, accese una primitiva candela di ferro nero, e preparò la cena: patate e sempre patate: da due giorni Olì non mangiava altro che patate e qualche castagna”.

Per i celti la castagna era pure il pasto da offrire ai morti, quando ritornavano sulla terra per la notte del Samhain, la festa di “fine dell’estate”, che celebrava il passaggio tra la stagione calda e quella fredda, tra la luce e l’oscurità e, in quelle ore notturne, quando avveniva l’unione tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, si offrivano castagne cotte sul fuoco.

Con la cristianizzazione si mantenne questa tradizione e la si adattò con un simpatico detto: “a San Martin castagne e vin”.

Sono molti gli scritti che parlano della castagna, ma sono tante anche le forme espressive utilizzate per indicarla e, sull’origine del nome, sono state avanzate più ipotesi.

Una, castagna deriverebbe da “Kastanis”, città del Ponto, o da “Kastania”, villaggio della Tessaglia, ma l’idea è un po’ scombinata, la più corretta è che derivi dal latino “castanea” proveniente, a sua volta, dal greco “κάστανον”, “kàstanon”.

A questo proposito Isidoro di Siviglia, 560 – 636, vescovo e scrittore, nella sua enciclopedia “Etymologiae sive Origines,” riportò che: “Castaneam Latini a graeco appellant vocabulo. Hanc enim graeci kastanéan vocant, propter quod fructus eius gemini in modum testiculorum intra folliculum reconditi sunt, qui dum eiciuntur quasi castrantur”, “I latini chiamano la castagna con la parola greca. Specificatamente i Greci la denominano castagna, perché i suoi frutti gemelli sono nascosti all’interno del follicolo sotto forma di testicoli, i quali, quando sono espulsi, sembrano castrati.

Anche a dare ragione al vescovo Isidoro, non tutti greci erano concordi con il nome “castanea”, Ippocrate, 460 a.C. – 367 a.C., il padre della medicina, la chiamò “noce piatta”, e ne elogiò tre valori: quello il valore nutritivo, quello purgante della polpa e quello astringente per l’intestino delle bucce.

Lo storico Senofonte, 430 a.C. circa –355 a.C., fu sulla stessa linea di Ippocrate e nominò la “castenea” “noce piatta senza fessure”.

Il botanico Teosfrato, 371 a. C. - 287 a.C., nella sua “Storia Delle Piante”, cambiò completamente idea e la chiamò “ghianda di Giove”, riportandone quattro varietà: la Lopima, difficile da sbucciare, la Malaca, tenera, la Gimnolopa, senza peluria, e la Sardinia, perché proveniente da Sardi, capitale della Lidia.

Passando all’antica Roma, Catone il Censore, 234 a.C. – 149 a.C., nel suo trattato “De Agricoltura” citò le castagne come “noci nude”.

Alla fine, Marco Terenzio Varrone, 116 a.C. – 27 a.C., nel suo manuale “De re rustica” giunge finalmente a parlare di “castanea” e lo stesso fa Virgilio 70 a.C. – 19 a,C., nella I e nella VII Egloga delle Bucoliche.

Castagno e castagne divennero tanto ricorrenti nel paesaggio e nella gastronomia da essere sovente citati nella letteratura, come elemento di sfondo o come oggetti specifici delle opere, ce lo ricorda il Boccaccio, 1313–1375, nel “Decamerone”: “ … Ivi forse una balestra rimosso dall’altre abitazioni della terra, tra ulivi e nocciuoli e castagni, de’ quali la contrada è abondevole, comperò una possessione ….”

Nel Medioevo le castagne, soprattutto del Centro e Nord Italia, furono pure esportate, tanto da apparire nel “Cris de Paris” del 1486, dove si riportava che le castagne provenienti dalla Lombardia erano le migliori.

Buona parte della produzione di castagne si attuava nelle “selve castanili”, estensioni di terreno su cui crescevano alberi di castagno consociati a cereali, fieno o pascolo. Il governo lucchese, nel 1483, istituì persino un “provisores castanearum”, “provveditore dei castanili” e, nel 1489, addirittura una magistratura,”l’Offizio sopra le Selve”, che prevedeva pene per coloro commettevano atti criminali provocando incendi, tagli e altri danni più o meno gravi alle piante di castagno.

Alla fine del Quattrocento, periodo di guerre e momenti di crisi, l’uso della farina di castagne si diffuse ulteriormente, compensando la carenza di cereali.

Da tenere presente che anche la macinazione delle castagne poteva avvenire in ambito domestico e non prevedeva il pagamento delle tasse sul macinato.

La castagna ha rappresentato così e per lungo tempo una delle fonti principali per l’alimentazione e non a caso è stata soprannominata “il cereale che cresce sull’albero”.

Alla fine del Settecento, per rendere distinguibile la castagna asiatica da quella americana, il botanico inglese Philip Miller, 1691 –1771, fece aggiungere al mondo scientifico accanto al termine “castanea” anche “sativa”, “Castanea” sativa”, a specificare che va piantata e coltivata.

Nel 1771, Giuseppe Parini, 1729-1799, su incarico della Casa d’Asburgo, narrò i festeggiamenti in onore delle nozze fra Ferdinando d’Asburgo-Este e Maria Beatrice d’Este in “Descrizione delle feste celebrate .. ” ebbene, in un passo di quest’opera, descrisse uno dei carri allegorici del corteo, che rappresentava un castagno, sotto la cui chioma pascolava un gregge di pecore: “…. Il primo di questi, che nella sua perfetta semplicità venne giudicato bellissimo, era un carro rappresentante un piccolo spazio di terreno, sopra di cui elevavasi un alto castagno. All’ombra di questo forse dodici pecore stavano pascendo l’erbe; e un biondo e rubicondo pastore, appoggiandosi al tronco …»

Una cosa forse poco nota delle castagne è che sembra abbiano dato origine alla parola “ballottaggio”, termine molto usato nelle elezioni politiche e nello sport.

La storia inizia quando, prima della costruzione di Palazzo Vecchio a Firenze, vi era la sede dei Priori di Firenze, che si riunivano per prendere le decisioni politiche e votare le scelte dei futuri rappresentanti della città, in un edificio chiamato “Torre della Castagna”. Il nome di questo fabbricato era così stato dato perché ai partecipanti che dovevano esprimere il loro voto, si davano delle castagne e le dovevano depositare in sacchetti. Ora, dato che a Firenze le castagne bollite erano chiamate “ballotte”, quell’espressione di voto fu chiamata allegramente “ballottaggio”, poi adottato in tutto il mondo.

Probabilmente, però, la castagna preferirebbe essere ricorda come filastrocca, come quella del poeta Celestino Calleri, 1844 - 1876:

La castagna

È bella la castagna,

è liscia e ben vestita,

è un frutto di montagna,

è dolce e saporita.

Se vien dalla padella

col nome di bruciata,

la castagnetta bella

è subito sbucciata.

Se vien dalla pignatta

col nome di ballotta,

per tutti i denti è fatta,

perché nell’acqua è cotta.

Se viene dal paiolo

col nome di mondina,

va giù come di volo,

ché tutta si sfarina.

Se vien dal seccatoio,

si serba per l’annata:

e con piacer l’ingoio

che sembra zuccherata.

Insomma in cento modi

si mangia lo castagna,

cantiamo pur le lodi

del frutto di montagna.

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