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La discesa in campo Pasteur

di Michele Scognamiglio

Scende in campo Pasteur, i microbi sono... spacciati!

Nel 1863 il vino diventa “Questione di Stato” in Francia, ed è l’Imperatore Napoleone III in persona a rivolgersi a Pasteur, chiedendogli di occuparsi delle “malattie del vino” e soprattutto di trovare in fretta validi rimedi.

L’inquietudine dell’Imperatore, legato peraltro da sincera amicizia al vino, era motivata sia dalle continue lamentele dei produttori di vino, sia dai danni che i vini francesi “guasti” o “girati” avrebbero potuto arrecare alla fama, oramai raggiunta dalla Francia in ambito vinicolo e soprattutto alle Reali Casse.

Pasteur, accettò l’incarico e diede inizio agli studi sul vino e sulle sue malattie, riportati accuratamente in un testo che ancora oggi, a distanza di circa 150 anni, costituisce un valido riferimento per la moderna enologia.

In ossequio alla teoria aristotelica, gli studiosi dell’epoca sostenevano che le alterazioni del vino fossero un fenomeno di natura spontanea e soprattutto inevitabile.

In altre parole, il verificarsi di tali fenomeni era ritenuto “opera di morte”, legate all’inesorabile invecchiamento o più in generale alla “perdita della vita” del vino.

Pasteur, a differenza della maggior parte dei scienziati dell’epoca aveva una certa familiarità con il metodo scientifico sperimentale di chiara derivazione galileana.

Verificava infatti accuratamente con spirito critico ogni sua scoperta e la rendeva nota solo dopo attente verifiche e dopo aver trovato soddisfacenti conferme alla sua ipotesi iniziale.

Animato da tale rigore, Pasteur, allestì un laboratorio di ricerca dotato di microscopi, provette e incubatori ad Arbois, una delle regioni a maggior produzione vinicola, in modo da essere vicino alle vigne e alle cantine e poter controllare accuratamente l’intero processo produttivo.

Nel 1857, dall’ osservazione di un serbatoio in cui si svolgeva una fermentazione lattica, il lungimirante Pasteur, aveva riportato da esperto disegnatore sul suo quaderno di laboratorio i minuscoli “bastoncelli” (batteri lattici) osservati al microscopio, confermandone il ruolo essenziale svolto nel processo.

Confortato da tale osservazione, Pasteur trovò in ogni campione di vino alterato, insieme al lievito solito e benefico, microrganismi diversi a seconda del tipo di malattia.

Pasteur dimostrò in tal modo, che era proprio lo sviluppo e la persistenza, all’interno delle bevande alcoliche di microrganismi di varia natura a determinare la produzione indesiderata di sostanze quali l’acido lattico o l’acido acetico che a loro volta guastavano irrimediabilmente le bevande.

In particolare si deve a Pasteur, l’aver individuato due distinte fasi nel corso della vinificazione e successiva maturazione del vino.

Nella prima agiva un particolare tipo di lievito che egli chiamò il “fiore del vino” necessario alla fermentazione alcolica, per mezzo della quale lo zucchero si trasforma in alcol.

Nella seconda poteva agire invece il cosiddetto “fiore dell’aceto” un microrganismo diverso che rendeva acido il vino (la fermentazione acetica in cui l’alcol etilico si ossida a acido acetico).

Dopo tre vendemmie trascorse ad Arbois analizzando sistematicamente vino e uva, Pasteur riuscì a risolvere la prima parte dell’incarico affidatogli.

Per ognuna delle malattie del vino riuscì ad identificare con dovizia di dettagli i microrganismi (funghi e batteri) responsabili dei vari tipi di alterazioni.

Identificò ad esempio, il fungo responsabile della “malattia grassa”, per cui vini bianchi e champagnes diventavano oleosi, proveniente solitamente da alcuni grappoli marciti e mescolati agli altri.

Tuttavia, l’aver identificato i diversi microrganismi responsabili delle malattie del vino, lo aveva condotto solo a metà del suo lavoro, bisognava trovare in tempi rapidi un rimedio efficace alle troppo frequenti alterazioni del vino francese.

A questo scopo, mise momentaneamente da parte le sue ricerche microbiologiche e concentrò i suoi sforzi per mettere a punto procedimenti efficaci di prevenzione delle malattie del vino e della loro corretta conservazione.

A Pasteur si deve inoltre anche la comprensione della determinante azione dell’ossigeno sulla maturazione del vino.

Era noto che l’invecchiamento di un vino ne accresceva generalmente la morbidezza, modificava l’opacità ed il colore, ma allo stesso tempo si sapeva che un invecchiamento prolungato e non controllato poteva privarlo della sua forza e del suo originario carattere esponendolo a più probabili alterazioni.

Per confermare l’azione dell’ossigeno sulla maturazione del vino, Pasteur ricorse ad un semplice esperimento.

Imbottigliò lo stesso vino, in due diversi contenitori in vetro della stessa capacità avendo cura di non lasciare in uno di essi aria e tappare ermeticamente l’estremità con della cera.

L’altro contenitore invece era riempito per metà di vino e chiuso con tappo di sughero che lasciava diffondere ossigeno attraverso il suo spessore.

L’anno successivo, quando il vino “anaerobico” venne stappato, lo stesso Pasteur ebbe a dire:

“Questi vini,invecchiati di un anno, hanno lo stesso colore del vino nuovo da cui sono partiti,lo stesso colore verde e lo stesso sapore aspro del vino giovane, e anche l’odore e il sapore del lievito. In breve,mi pare che non siano per nulla invecchiati. Al contrario,il vino trattato nella maniera solita ha iniziato a invecchiare”.

Nel primo caso, non si osservò quindi alcuna alterazione, il vino rimase acido e “legato” conservando le caratteristiche di un vino nuovo ed in piena salute.

Ancor prima di Pasteur erano stati avviati diversi tentativi per prevenire il deterioramento dei vini, per esempio, si era provato a congelarli prima di imbarcarli per lunghi viaggi, ma l’espediente funzionò solo parzialmente.

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