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L'Aglianico del Taburno e la Falanghina

di Nino d'Antonio

Per chi è del tutto estraneo al mondo del vino, l’immagine della Campania Felix lo riporta d’incanto a quel ventaglio di cartoline illustrate che vanno dal Vesuvio a Capri, Ischia, Costa d’Amalfi e di Sorrento, fino alle immancabili testimonianze di Pompei, Ercolano, Paestum.

Così, a dispetto di una millenaria civiltà contadina, che ha segnato di sé queste terre, si stenta a delineare un ritratto agreste della Campania. Quasi che la suggestione di quei topos e la magia che li accompagna finisca per escludere ogni altra realtà.

E invece la Campania deve quel “Felix” proprio alla generosità della sua terra e a quella ricca messe di prodotti, sempre monopolio di ristrette aree con una loro irripetibile identità. Un patrimonio raro che ha celebrato nel mondo una rosa di prodotti, espressivi al tempo stesso sia dei caratteri del territorio che della sapiente e antica civiltà contadina.

La premessa non risulti peregrina, se appena si pensi al pomodoro di San Marzano o a quello del “piennolo”, al limone sfusato di Amalfi, alle albicocche del Vesuvio, alle cipolle di Montoro, per non citare tutti i prodotti del latte, a partire dalla famosa mozzarella.

Di qui le radici di quella Campania, che anche in fatto di vini può contare su lontani trascorsi. Si pensi, a riguardo, che è la patria non solo del Falerno, ma di tutti i vini presenti alla corte di Augusto, dal Cecubo al Gaurano, dal Faustiano all’Amineo.

A sezionare i numerosi vitigni della regione, un posto d’onore spetta al Sannio, vista la sua eredità storica, che va dai greci ai romani. Il territorio è quello collinare, adiacente o prospiciente i massicci del Taburno e di Camposauro, lungo il tracciato dell’antica Caudium. La grande viticoltura del Sannio beneventano nasce qui. Non sorprende quindi che la metà della produzione vinicola della Campania, si concentri in quest’area, la quale vanta una Docg per l’Aglianico del Taburno, una Doc Sannio (con diverse sottozone) e una Doc Falanghina. Ma non…

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