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Il primato di San Michele all’Adige

di Nino D’Antonio

A dispetto del nome che dà al paese, la sua è una presenza discreta. Fuori dal tracciato dell’unica via che porta alla piazza. In cambio, a pochi metri dai binari della Trento-Malè, l’Adige si apre largo e disteso sotto un ponte d’acciaio, di felice e scenografica architettura. Per il resto, San Michele all’Adige non c’è. L’Istituto è tutto. La sua storia. La sua anima. La sua gente. A cominciare dalla collinetta sulla quale si leva, alto e solenne, l’antico monastero. A occidente, le case basse e addensate, a oriente il campus. Un termine che qui suona abbastanza improprio, ma che non manca di rendere una complessa realtà, dove tutto - scuola, università, convitto, biblioteca, museo, cantina, oltre un corteo di centri di ricerche e di laboratori - è all’insegna di un costante processo innovativo. Direi piuttosto che San Michele è una cittadella, senza quei caratteri difensivi così frequenti nei territori di confine. Per secoli, un polo religioso, dove vivere in raccoglimento e in preghiera, ma anche aperto a quelle attività - vigneti in testa - che consentivano l’autonomia del monastero. Procedo con studiata lentezza per non perdere niente di questo paesaggio trentino, che oggi sfodera il meglio di sé con una luce sazia da avanzata stagione. Intorno colline verdeggianti e l’ordinata geometria delle vigne. La presenza del convento risale al 1141 e diventerà via via ingombrante per il suo retaggio storico, a ponte fra cronaca e leggenda. A cominciare dalla struttura - all’o- rigine un castello - che si vuoledonata dai conti Appiano, a titolo di indennizzo per gli oltraggi e le ruberie subite da una delegazione pontificia. E qui si dipana un lungo filo,che ci porta ai primi dell’Ottocento, quando gli Agostiniani lasceranno il monastero. In mezzo, c’è di tutto. La rete di traffici e dicommerci fra il mondo tedesco equello latino, il transito di milizie e pellegrini, la nascita di due severe cantine, una a ridosso dell’insediamento dei monaci, e…

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