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Mercati senza confini

di Ulderico Bernardi

Nella selva di internet si muove di tutto. Alla luce del sole e col favor delle tenebre. Se è ancora possibile dire così, visto che sulla rete non tramonta mai il sole. C’è sempre chi veglia nei continenti, mentre il vecchio mondo compie le sue orbite. Internet per qualche verso ricorda il giardino dell’Eden, un paradiso di conoscenza, con infinite opportunità per chi ha bisogno di scovare qualche dato altrimenti difficile da individuare, anche sfogliando centinaia di libri, oppure si affida al mare magnum delle sue pagine, navigando sul filo della curiosità. Ma come ogni bosco che si rispetti, ha anche il suo sottobosco. Dove si possono nascondere cose innocenti e altre poco pulite. C’è chi approfitta di ogni ombra, e comunque s’infila nel gran brulicare delle iniziative. Si costruisce una casa virtuale, abusiva, magari bella e aggraziata, ma come quella di marzapane e mostaccioli delle fiabe, fatta per attirare gli ingenui, nasconde un essere maligno. Dentro c’è la strega che vuole mangiarsi i bambini. Non è che la grimalda debba per forza avere il naso adunco e bitorzoluto. Può essere all’apparenza una persona “normale”. Qualcuno che si diverte a travestirsi da quello che non è: giovane, bello e ricco. La parlantina, o meglio la sfacciataggine, non gli fa difetto. Può essere un burocrate frustrato, di mezza età, che tesse la sua tela per accalappiare innocenti fanciulle smaniose d’avventura. Spesso finisce male. Per le fanciulle. Questo è il progresso, figliolo, starnazza l’imbecille che non ammette altra morale se non la sua, strettamente personale. Poi se ne va contento in qualche Paese del Terzo mondo dove si compra a due soldi un bambino o una bambina per soddisfare le sue smanie pedofile. Un’inedita versione del lupo cattivo, appostato tra gli alberi lungo il sentiero che Capuccetto Rosso si appresta a percorrere.

Ma, senza arrivare alla criminalità degli assatanati sessuali, noi sappiamo che la selva di Internet è anche piena di radure, dove spalancano le loro vetrine botteghe oneste e fondaci pirateschi. Spacci che sono altro. Luoghi di scambio vivi, dove cercano di piazzarsi anche i mercanti della truffa, aprendo bancarelle improvvisate dove proporre improbabili guadagni al gioco delle tre tavolette. Nella loro disonestà spesso recano danno a tanti, non solo a chi si è fidato di loro. Il vino, la buona sostanza vitale,ha sempre fatto gola ai truffaldini. Una volta erano più rozzi, smerciavano cisterne di merlot che cammin facendo diventava barbera, o chissà cosa. Oppure facevano montare una piccola quantità di vino discreto nei loro laboratori d’intrugli, fino a farlo diventare un fiume di porcheria colorata, di bianco o di rosso. Per non dire di peggio.

Adesso che si ritrovano davanti un mercato senza confini, si sono montati la testa. Il vino italiano più noto al mondo come aperitivo è il prosecco? E allora via con le false etichettature, i contenuti anonimi elevati al rango di qualità superiori, le denominazioni d’origine applicate con fantasia. Questi ingordi di euro, dollari o jen, fanno spallucce davanti al male che producono. Tutto un mondo di onesti vignaioli, di spumantizzatori sapienti, di distributori orgogliosi del nettare promosso nei continenti, si ritrovano con un’immagine intorbidata.

E a dover faticare comunque per riguadagnare piena la fiducia. Il rimedio principe resta la prevenzione. “Fare rete” fra aziende per vigilare, assecondando e lavorando d’intesa con le forze dell’ordine, che su questo terreno sono già attive. Un’impresa da sola non può sobbarcarsi un controllo capillare, ma la forza unita di tutti coloro che credono nell’etica di mercato, si. Sapendo bene che l’economia, liberata da corruzioni e privilegi, premia gli onesti.

Inutile illudersi, i predoni inseguiranno sempre le ricche carovane che si inoltrano nel web, pronti all’assalto. La scorta armata è indispensabile, e questo vale per tutti i preziosi prodotti dell’estro, della creatività, dell’arte enogastronomica.

Ma non è questione di fucili (e di manette, che comunque servono eccome), quanto invece di strumenti di ricerca, di formazione continua, di capacità adeguate al tempo presente, in una realtà planetaria complessa, che vede accrescersi i bisogni, anche i più sofisticati, ma non vuole in nessun modo rinunciare alla sicurezza. Cibi e bevande, almeno nelle società agiate, sono un patrimonio di qualità.

Come tali, particolarmente per quanto riguarda quelle bandiere di identità che sono i prodotti tipici, esigono di non essere banalizzati. Ed è dovere di chi ha l’intelligenza e la bravura di produrli far si che le intese virtuose si realizzino sul piano organizzativo e associativo per fronteggiare le incursioni dei disonesti.

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