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Martiri di Covid e dell'insipienza

di P.C.G.

Un vecchio adagio recitava (almeno nei luoghi dove sono nato e vissuto sino alla maggiore età): anno bisesto, anno funesto. E, a tutti i livelli, questo 2020, sembra confermare quanto la saggezza popolare, intuitivamente, ha storicamente condensato in quella frase.

La vita sociale, i sistemi imprenditoriali, le attività commerciali, le relazioni umane, ovvero la quintessenza dei rapporti che rendono “la vita degna di essere vissuta”, hanno, e stanno, subendo un capovolgimento inimmaginabile imprevedibile.

Una di quelle rivoluzioni che hanno e continuano a sconvolgere le ‘umane’ esistenze, ovvero quell’insieme di abitudini che hanno caratterizzato da un lato il sistema dei consumi e, dall’altro, quello delle attività, imprenditoriali e occupazionali che, sino a ieri, erano la quintessenza della loro esistenza.

Verità questa che trova una dimensione, tragica, nell’annichilimento delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi con effetti negativi, per non dire drammatici, sull’agroalimentare nazionale che sta registrando una perdita complessiva che, in totale, supererà di gran lunga la originaria stima di oltre 40 miliardi di euro.

Mentre per il vino, punta di ‘diamante’ del business agroalimentare nazionale, registra una contrazione, nel mondo, del 4% in questo 2020, manifestando una storica, quanto indesiderata, inversione di tendenza che non ha precedenti negli ultimi 30 anni a causa delle difficoltà registrate in tutto il mondo dalla ristorazione per l’emergenza coronavirus.

Dato preoccupante dopo l’euforia del 2019 per il record dei 6,4 miliardi fatto segnare dalle esportazioni di vino Made in Italy.

Euforia che, dodici mesi dopo, si è trasformata, nel periodo della vendemmia segnata dagli effetti della pandemia mondiale, in prevedibili tensioni commerciali internazionali in Europea, Gran Bretagna compresa, e nel resto del mondo. che è stata per lungo tempo il principale cliente del prosecco, il vino italiano più esportato nel mondo.

In Cina dove il virus ha colpito per primo, infatti, la domanda, fra gennaio e maggio 2020 di vino, tricolore è crollata in valore del 44%; nel Regno Unito scese di quasi il 12% anche per le incertezze e le tensioni legate alla Brexit; la Francia ha ceduto il 14% mentre l’export in Germania e Stati Uniti, due mercati di riferimento per i prodotti enologici italiani per l’Italia, è in leggero calo (- 1%). Oltre a ciò, per quanto riguarda gli Usa pende sempre la scure dei dazi del presidente Donald Trump il cui verdetto sarà noto auspicabilmente a breve.

Se per il prodotto enologico “made in Italy” il presente, ma anche l’immediato futuro, rappresentano una prevedibile “condanna a morte” differita è, forse evitabile, la ristorazione invece sta vivendo una lenta agonia fatta di incertezze e di promesse non mantenute e affatto credibili ma, prima di tutto, della comprensione del reale valore che questo della volitiva imprenditorialità italiana rischia di “essere raso al suolo” e con esso l’intero volano dei successi della nostra offerta turistica, rappresentando con la propria inimitabile offerta la piattaforma più efficace e affidabile non solo degli elevati livelli di professionalità raggiunti quanto dei prodotti e dell’immenso “bagaglio” delle tradizioni culinarie del territorio. Oggi questo volano di imprese (oltre 330 mila con oltre 1 milione di occupati) in evidente difficoltà per l’ottusa decisione di “chiudere i ristoranti pur di fermare la Pandemia”, come se non si fossero potute individuare soluzioni meno drastiche e dannose per il mondo della ristorazione, che non solo riversa, moltiplicandole, i suoi effetti negativi su tutte le filiere delle produzioni dell’agroalimentare nazionale e le tipicità dell’agroindustria, con una perdita di fatturato che va ben oltre gli 10 miliardi, stimati di recente, di mancati acquisti in cibi e bevande. È quanto emerge da una analisi Coldiretti effettuata su dati Ismea sugli effetti dell’emergenza coronavirus per la spesa alimentare degli italiani anche in riferimento al varo del DPCM che prevede che ristoranti e bar dovranno chiudere alle 22, da cui è vietato ogni tipo di consumazione salvo il servizio di take-away. Gli acquisti extradomestici per colazioni, pranzi e cene fuori casa è stimato avranno un calo del 40% su base annuale.

Una riduzione non compensabile certo con le “elemosine” elargite e preannunciate dal Governo nella sua confusionaria attività, che tuttavia riverserà o propri effetti sulla vendita di moltissimi prodotti agroalimentari, tipo: vino, birra, carne, pesce, insaccati, formaggi, frutta, verdura, frutta oltre che gran parte della filiera dei prodotti da forno che trovavano nel consumo fuori casa un importante sbocco.

È universalmente noto che alcuni segmenti di prodotti, quale l’ittico e il vitivinicolo, la ristorazione è il principale canale di commercializzazione e di fatturato. In questo contesto, l’arrivo del bonus di filiera che stanzia 600 milioni di euro rappresentano un contributo per ristoranti e agriturismi in difficoltà, per l’acquisto di prodotti di filiere agricole ed alimentari (inclusi quelli vitivinicoli, anche Dop e Igp) una negazione delle scelte compiute dal settore primario di avviare le proprie energie verso produzioni di qualità (non è casuale che il nostro Paese abbia il primato dei prodotti con certificazione europea: Dop, Igp e Stg) espressione delle identità, della cultura e delle tradizioni del nostro Paese.

Negazione di cui non si hanno avvisi d’inversioni di tendenza.

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