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La discesa in campo di Pasteur

di Michele Scognamiglio

Decenni prima, sempre un francese, Nicolas Appert produttore di conserve alimentari aveva già suggerito di usare il calore, mediante bollitura per preservare gli alimenti.

Proprio in onore di Appert, negli anni a seguire venne perfezionata la tecnica che ancora oggi porta il suo nome.

L’Appertizzazione consiste nel porre l’alimento da conservare in un recipiente ermetico e portarlo successivamente a temperature molto elevate (generalmente da 110 a 120 °C) per tempi prolungati in modo da distruggere eventuali microrganismi contaminanti.

Per la sua semplicità, il metodo viene tuttora largamente utilizzato soprattutto nella preparazione di conserve casalinghe, mentre in ambito industriale è utilizzato solo per gli alimenti solidi in scatola.

Per gli alimenti liquidi l’appertizzazione è stata sostituita dalla pastorizzazione o dalla uperizzazione*. L’importanza del possibile ruolo “bonificatore” del calore era del resto confermata dalla maggiore longevità e stabilità dei vini spagnoli e greci, prodotti spesso a partire dalla bollitura del mosto (o addirittura dello stesso vino una volta prodotto).

Avendo ben chiara la natura biologica dei diversi microrganismi coinvolti nelle alterazioni del vino e confortato dall’esperienza di Appert, Pasteur suggerì quindi ai produttori di riscaldare il vino per pochi secondi in assenza di aria a una temperatura tra i 60 e i 100 gradi Celsius.

* L’Uperizzazione detta anche UHT (Ultra High Temperature) è un metodo di sterilizzazione di alimenti liquidi come latte, yogurt, minestre.

Il suggerimento fu immediatamente accolto con aspre critiche, erano molti coloro che vedevano in tale metodo, il rischio per il vino di perdere inevitabilmente il suo bouquet, la sua complessità aromatica.

Pasteur, incurante delle critiche, proseguì nelle ricerche e dopo aver sottoposto il vino ad un breve trattamento termico istituì un comitato di esperti degustatori per confrontare in maniera “disciplinata” l’aroma del vino pastorizzato con quello “crudo”.

Gli esperti sommeliers per l’evidenza dei fatti, dovettero riconoscere il l’efficacia del trattamento, ammettendo che la pastorizzazione non alterava il gusto o l’aroma del vino.

Per dimostrare ulteriormente la validità del trattamento termico sulla stabilizzazione e conservazione, Pasteur spedì del vino pastorizzato sulla fregata della marina militare Sybille diretta in Africa.

Il vino, al suo arrivo risultò praticamente inalterato.

Con enorme soddisfazione dell’Imperatore e dei produttori, il vino francese (e non solo quello) era finalmente salvo, Pasteur, aveva individuato e sconfitto i suoi invisibili nemici.

In seguito, Pasteur applicò le sue scoperte alla produzione della birra, brevettando uno specifico procedimento di produzione.

Il processo di pastorizzazione del vino si diffuse rapidamente anche in Italia ed in altre parti del Mondo e successivamente interessò altri prodotti di consumo (aceto, sidro, latte ed altre derrate facilmente deteriorabili).

La pastorizzazione del vino è stata successivamente abbandonata anche grazie al rispetto rigoroso di norme igieniche (già raccomandate da Pasteur ma tecnicamente impossibili all’epoca) durante la vendemmia, la vinificazione ed il successivo affinamento.

Ai nostri giorni, il vino viene prodotto utilizzando tecniche microbiologiche di controllo, che permettono di tenere alla larga microrganismi indesiderati e favorire invece lo sviluppo di quelli graditi, modulando opportunamente parametri quali la temperatura del vino, la sua esposizione all’aria o il ricorso a determinate sostanze chimiche nel rispetto di quanto stabilito dalla Legge.

Dai tempi di Pasteur ai nostri giorni, nè è passato di vino nelle ...cantine, tuttavia le sue ricerche hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo della moderna enologia e della microbiologia enologica. Monsieur Pasteur, Merci Beaucoup!

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