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Pinoli, tra poesia, dolcezza e il burattino Pinocchio

di Enzo Gambin

Nel 2021 il poeta Giancarlo Consonni, classe 1943, ha voluto intitolare “Pinoli” una sua raccolta di poesie, rivelando la volontà di accostare i suoi versi, dai toni leggeri e ricercati, a dei piccoli semi bianchi, discreti e delicati, ma ricchi di sapore che, per il diletto della gola, sono in grado di creare grandi piatti.

D’altra parte i sentimenti umani c’inducono a credere che la poesia s’ispiri ai grandi quesiti della vita e la gola fa parte di questi, tanto che il novelliere francese Raymond Queneau, 1903 – 1976, ne diede la “Ricetta”:

“Prendete una parola

prendetene due

fatele cuocere come se fossero uova

scaldatele a fuoco lento

versate la «salsa enigmatica»

spolverate con qualche stella

mettete pepe e fatele andare a vela.”

Bene ha fatto Queneau a definire la salsa come «enigmatica», perché questa in cucina non è altro che una aggiunta e, come tale, si modifica con le mode e con i gusti.

A dispetto delle tecniche di preparazione però, i protagonisti delle salse sono i loro componenti, che sono sempre gli stessi, e, tra questi, vi sono i pinoli, utilizzati da soli o mescolati con altri ingredienti, nell’una e nell’altra forma generano sempre un’infinità di gusti, che facilitano l’ingordigia.

Duemila anni fa Apicio, 100 a.C, nel suo “De re coquinaria”, consigliava i pinoli per confezionare dei dolci sfoglia: “trita pepe, pinoli, miele, ruta e mescola col passito. Cuoci nel latte e con una sfoglia di pane. Cuoci quando tutto si sarà rappreso con poche uova. Bagna nel miele e porta in tavola coperto di pepe”.

Nel 1300, quando comparvero i primi libri di gastronomia, con ricette che sembravano più dei riti magici che delle preparazioni di cucina, non mancava la “salsa di Pignoli”.

Siamo nella Ferrara del 24 gennaio del 1529 e, al Banchetto per le nozze del principe Ercole d’Este con la figlia del re di Francia alla presenza di Isabella d’Este Gonzaga, il maestro di casa Cristoforo da Messisburgo ne descriveva le portate, tra queste: ”Involtini di polpa di cappone fritti e ricoperti di zucchero; quaglie, polpette e fegati di cappone arrostiti; fagiani arrostiti con arance spaccate; zuppa di cipolle con “sfogliatelle di pinoli” …”.

Nella Napoli della seconda metà del Settecento, Vincenzo Corrado, 1736 – 1836, nel suo libro di cucina “Il Cuoco Galante” poneva la salsa ”di pignoli all’olio” tra i principali accompagnamenti alle vivande.

Nel 1863, Giovanni Battista Ratto, nella sua opera “La Cuciniera genovese”, nel riportare la ricetta del “Pesto alla genovese”, di più antica origine, diede il via al successo di questa salsa e i pinoli sono l’elemento che accorda i sapori del rimestato d’aglio, basilico, prezzemolo e formaggio.

Celebre è poi la “Ricetta n° 582 - Torta coi pinoli”, che Pellegrino Artusi, 1820 – 1911, riportò nella sua opera “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, introducendola così:

“Questa è una torta che alcuni pasticcieri vendono a ruba. Chi non è pratico di tali cose crederà che l’abbia inventata un dottore della Sorbona; io ve la do qui imitata perfettamente”.

L’Artusi valutò la “Torta coi pinoli” come una ricetta medica, prescritta da un “dottore della Sorbona” ed ebbe ragione, perché qualche decennio più tardi, Paul Ghalioungi, 1908-1987, medico e storico della medicina egiziana, nel suo libro “The physicians of Pharaonic Egypt”, scrisse che i pinoli erano dagli antichi egizi considerati come medicinali, adatti alla cura di malattie.

Delle proprietà curative dei pinoli ben lo sapevano anche i medici greci Dioscoride Pedanio, 40 – 90, e Galeno, 129 –201.

Il Primo li descrisse nella sua opera “De Materia Medica” come frutti astringenti, in grado di alleviare la tosse e le infezioni polmonari.

Il Secondo li prescriveva per la cura dell’apparato respiratorio e per “ripulire” i bronchi.

Pure il medico musulmano Ibn-Sīnā, noto con il nome di Avicènna, 980 –1037, nella sua opera “Il Canone della Medicina”, consigliava i pinoli come: “…utili contro i fluidi marci nei polmoni, il sanguinamento, e la tosse cronica…” e continua “….se fatti bollire in un vino dolce, sono molto buoni per pulire i polmoni dal pus. … Se vengono mangiati insieme al miele, purificano i reni e la vescica e sono anche in grado di proteggere quest’ultima dai calcoli e dalle ulcere“.

I pinoli non sono altro che i semi del pino domestico, rappresentano la parte edibile della pigna, chiamata scientificamente “strobilo”, di derivazione dal greco “στρόβιλος”, “strobilos”, con il significato di trottola.

Grazia Deledda, 1871 – 1936, nel suo racconto “Il lamento dell’albero”, ha magistralmente descritto come si formano i pinoli: “È bastato il fruscio della foglia a scuotere l’albero che comincia a lamentarsi. D’albero in albero, il lamento si estende; tutto il frutteto è agitato, e sembra che non sia il vento a scuoterlo, ma una forza interiore, un’angoscia mista a rivolta. Giù tutte le foglie!

È inutile tenerle quando non sono più parte viva del ramo: e con le foglie cade anche qualche frutto: la pigna si spacca e i pignoli si staccano e cadono.

I rami più alti, con ancora le foglie verdi, si sbattono in una lotta leggera”.

In tutte le culture, alla pigna e ai pinoli si sono attribuiti forze portentose e misteriose, tanto che hanno contribuito a dare il nome a quella piccola ghiandola del cervello che produce la melatonina, un ormone derivato dal neurotrasmettitore serotonina, che è secreto solo di notte e ha un ruolo importantissimo nel regolare il ritmo sonno-veglia. Questa ghiandola fu descritta da Galeno, che, per la sua forma simile a una piccola pigna, la chiamò “ghiandola pineale”.

Nella tradizione esoterica questa ghiandola, la cui struttura assomiglia vagamente a un bulbo oculare, è stata considerata la sede del “Terzo occhio”.

Il filosofo francese René Descartes, meglio conosciuto come Cartesio, 1596 –1650, nel suo trattato “Le passioni dell’anima” riteneva che la “ghiandola pineale” fosse la sede dell’anima, in grado d’influire con la capacità di prevedere, d’intuire, di scegliere.

Al “Terzo occhio” fu data una visione ideale, collocato internamente al cervello, frapposto tra gli occhi e in connessione con la “ghiandola pineale”, si credette che, se stimolato, risvegliasse e sviluppasse nell’uomo l’intuito, permettendo di vedere oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre la realtà e interpretare il futuro.

Che Cartesio pensasse proprio così del “Terzo occhio” non si è certi, Lui stesso si definiva “sostanza pensante” e di frequente ricordava “Dubium sapientiae initium” “Il dubbio è l’origine della saggezza”.

Alcuni considerano anche che il “Terzo occhio” abbia determinato il nome del personaggio “Pinocchio”, frutto della fantasia dello scrittore fiorentino Carlo Lorenzin, in arte Collodi, 1826 – 1890, partendo dall’idea che il termine Pinocchio è la composizione delle parole “pino” e “occhio”.

Certamente nella favola di Pinocchio vi è un profondo insegnamento morale, un magistero da seguire per farsi migliori che è di fuggire il gatto e la volpe, che rappresentano le tentazioni, accogliere le raccomandazioni del Grillo Parlante, la giusta coscienza, allontanarsi dal pese dei balocchi, metafora dell’ignoranza, e, in questo processo, si ha una trasforma o una rinascita da marionetta a uomo.

Vi è da considerare anche che, pigne e pinoli, in varie zone d’Italia, sono chiamati “pinoccoli” o “pinocchi”, e hanno sempre rappresentato l’abbondanza e la felicità, utilizzati come bomboniere, complementi d’arredo, decorazioni di interni ed esterni, li troviamo sui balconi, sui cancelli di ville, sui troni di re e pontefici, sulle facciate di chiese, conventi come simbolico ponte tra l’umano e il divino.

Sono tante le circostanze che hanno creato la storia dei pinoli, tutte di grande valore, fra queste anche delle fiabe più amate da intere generazioni, “Pinocchio”, ma certamente i pinoli portano sempre con sé un aspetto imperscrutabile, come riporta la massima: Non sapevo abitassi in una pigna.

Guarda che si dice “strobilo”

Ecco, sei il solito pinolo.

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