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L’eccellenza del Lacryma Christi di Villa Dora a Terzigno

di Nino D’Antonio

Alle spalle non c’è il latifondo, ma un pugno di zolle in una terra difficile e aspra. Carica di magia. Dove il mito e la leggenda sono di casa, alimentati dal Vesuvio e da quei vigneti dai quali nasce il Lacryma Christi.

Il capostipite Ambrosio - si va indietro di tre generazioni – ne è affascinato e prova a tirarci su quel poco per mantenere la famiglia. E per anni questo vuol dire solo tanto sudore, il fiato grosso e le mani sporche di terra. I trascorsi di Villa Dora a Terzigno (nel cuore del Parco del Vesuvio, a soli tre chilometri da Pompei) vanno ricercati nella fatica e nella fede di quest’uomo.

Poi, la mano passerà al figlio Enzo, che dal primo insediamento degli Ambrosio nel 1905, darà vita a quella che oggi è la suggestiva realtà di Villa Dora. Intanto, gli ettari salgono via via, prima a nove e poi a tredici, divisi fra oliveti e vigneti. E’ aumentata non solo la terra, ma sono nate le strutture per una cantina all’avanguardia e quantomai rispettosa dell’ambiente. Si aggiunga che la struttura è al centro di una serie di ambienti destinati a eventi culturali e a frequenti degustazioni.

Enzo Ambrosio ha poco più di settantanni, portati con giovanile baldanza. E ancora oggi dedica a questa sua creatura tutto l’entusiasmo e l’impegno che ha richiesto nel corso di questi anni.

Così non sorprende che il grande viale d’ingresso a Villa Dora, imponente e scenografico, accolga un lungo filare di viti, che aprono la vista sul Vesuvio. Siamo a un’immagine da incantamento, che ci rimanda – con un po’di fantasia – al tipico scenario delle Ville Palladiane. Una sola variante: il massiccio del vulcano al posto delle sobrie facciate rinascimentali.

Da anni, a condurre l’impresa è la figlia Giovanna, che può contare ovviamente sia sulla collaborazione del padre, che del figlio Enzo (lo stesso nome del nonno, come nella buona tradizione delle famiglie del Sud).

Il giovane, prossima alla laurea in Economia Aziendale, piena padronanza dell’inglese, e ampie relazioni con le cantine di mezza Europa, segue le sorti di Villa Dora con particolare dedizione

La mia visita in cantina, finisce così per avere un trittico di interlocutori: nonno Enzo, la figlia Giovanna e il giovane nipote. Ed è a loro che devo ogni notizia sul Lacryma Christi. Che è il solo vino prodotto dall’azienda, nelle due versioni Bianco e Rosso. Il primo, su base Caprettone (80%) e Falanghina, etichettato Vigna del Vulcano; il secondo, su Piedirosso (80%) e Aglianico. L’azienda produce anche una versione Rosso Forgiato, denominata Gelsonero.

Nonno e nipote si alternano nel parlarmi del loro Lacryma. Ma a giocare la carta vincente, sarà ancora il vecchio Enzo. “Tenga conto che le nostre viti sono state tutte piantate nell’immediato dopoguerra. Per intenderci, alle soglie degli anni Cinquanta. E questo vuol dire che sono tutte a piede franco. La legge è poi intervenuta per disciplinare i vitigni cosiddetti a pergola, ma ha lasciato libertà di utilizzo ai possessori di queste vecchie glorie. Così Villa Dora ha la fortuna di far parte di una ristretta schiera di privilegiati…”.

L’azienda produce sessantamila bottiglie, equamente distinte fra Bianchi e Rossi. La ricerca della qualità (ma sarebbe più esatto parlare di eccellenza) condiziona non poco la produzione di Villa Dora, e quindi i riflessi sul mercato. Dove il suo Lacryma è presente solo in alcuni States e in Canada, per non rinunciare alla nostra più qualificata ristorazione e ai centri di maggiore richiamo turistico.

Ma gli Ambrosio battono altre vie per accreditare e promuovere il loro vino.

La sede dell’azienda è fra le più prestigiose del Sud e il calendario degli eventi, convegni, presentazioni di libri, conferenze è sempre assai fitto. Ed è anche questo un modo per rendere omaggio a quel Lacryma Christi che ha vinto per due volte il campionato del mondo.

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