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Casimiro Maule, l’enologo: rinascita dello Sfursat

di Nino d’Antonio

Alto, segaligno, una folta chioma bianca, Casimiro Maule rispecchia il suo fisico anche nella parlata. Che è asciutta, concisa, essenziale. Partiamo dallo Sfursat, che è il vino al quale ha consacrato una vita. E il cui destino è ormai affidato ad altri, visto che meno di un anno fa ha lasciato la Negri di Chiuro in Valtellina, per raggiunti limiti di età. “Sì, al di là della sua storia, lo Sfursat alla fine è una questione di metodo. Che coinvolge la qualità dell’uva per passare poi alla gestione dei tempi, mosti, legni, affinamento. Un equilibrio difficile da raggiungere. Che per giunta non è mai lo stesso, perché cambia ad ogni vendemmia. Così è un processo senza fine e sempre carico di incognite”.

Maule è trentino di Aldeno. Vive a Chiuro, a poche centinaia di metri dal Castello Quadrio, dove ha sede la Cantina Negri, della quale ha avuto prima la responsabilità tecnica e poi la direzione generale per oltre trentadue anni.

Ho qualche difficoltà a mettere insieme un racconto frammentato e quantomai sintetico, ma alla fine viene fuori una storia, che ha il fascino e il sapore d’altri tempi. “Vengo da una famiglia di contadini, sesto di otto figli. I miei genitori hanno conosciuto solo il lavoro, o meglio la fatica fisica. Mio padre è andato avanti con la zappa e l’aratro. E la mamma ci ha tirati su con pugno fermo…”.

Il ricordo di mamma Maria lo porta di peso all’infanzia, ai fratelli, alla scuola. C’era bisogno di braccia in campagna, e finite le scuole di avviamento, il destino dei ragazzi era segnato. Ma il preside si adopera perché Casimiro continui gli studi, visto che ha reso così bene. Magari alla Scuola di Agraria, anche se questo significa il collegio a San Michele all’Adige e il primo distacco dalla famiglia. Sei lunghi anni, durante i quali si tornava a casa solo per il Natale e la Pasqua, benché l’istituto fosse solo a ventisei chilometri da Aldeno. Ma allora era una distanza!

Così, appena diplomato col più lusinghiero dei risultati, decide di fare il servizio militare nei Carabinieri. “Era un modo per prendere un po’ di confidenza col denaro. Da carabiniere avrei avuto finalmente una paga, e questo mi bastava. Feci abbastanza bene il mio servizio - in anni quantomai turbolenti, fra Br e contestazione giovanile – tanto che il colonnello mi chiese di restare. Ma io volevo mettere a frutto quello che avevo imparato a scuola. Almeno lo speravo…”.

All’Istituto di San Michele all’Adige, intanto, non l’hanno dimenticato. E appena la Provincia organizza dei corsi itineranti per l’aggiornamento dei viticoltori, affidano l’incarico a Casimiro. Il quale se non ha rivali sul piano della preparazione tecnica, non può dire altrettanto per le sue doti di comunicatore. L’insegnamento non è il suo mestiere.

Siamo nel Settantuno, quando Carlo Negri va a San Michele alla ricerca di un enologo per la sua Cantina di Chiuro. L’Istituto ha un solo candidato da proporre, ed è Casimiro Maule, in quel giorno in giro per le ultime lezioni del suo corso. Negri non si arrende e va ad Aldeno per incontrarlo.

“Lo trovai a casa, che parlava con mia madre. La quale non accolse bene il fatto che io andassi in Valtellina. Ero già stato lontano parecchio, prima in collegio e poi militare. Ma Carlo Negri seppe convincerla. Anzi, fece di più. Portò anche lei a Chiuro, perché si rendesse conto del luogo dove andavo a vivere e del livello dell’azienda…”.

La Negri, circa mezzo secolo fa, non era quella di oggi. Il Castello che ospita la cantina è ancora da restaurare, e i vigneti del Grumello, della Sassella e dell’Inferno necessitano di parecchi interventi. In cambio, c’è un clima di grande operosità e soprattutto la presenza assidua di Carlo Negri. La collaborazione fra i due andrà avanti fino alla sua scomparsa, nel ’77, e sono anni di vera formazione per Casimiro.

E’ l’inizio di quel viaggio che ha toccato il punto più alto nel 2007, con il riconoscimento a Casimiro Maule di “Enologo dell’anno”, nel solco di quel sicuro percorso che ha saputo tracciare per la Negri e per l’intera produzione della Valtellina. Dove si fa vino da sempre, a dispetto di un territorio fra i più tormentati e meno generosi d’Europa.

La valle, nata dal bacino dell’Adda, è una sorta di budello, dove i monti - sui due versanti - si chiudono in uno scenografico fondale. Quei monti dai quali l’opera dell’uomo, nei secoli, ha ricavato una serie di terrazzamenti, che dentellano le rocce con l’esasperante geometria dei muretti a secco. I quali corrono per oltre duemilacinquecento chilometri, e costituiscono uno straordinario impianto, espressivo di quella civiltà contadina che l’Unesco sarà chiamato a tutelare. Un’impresa eroica, oggi neppure immaginabile.

La scomparsa di Carlo Negri coincide con un momento di pesante crisi. Capire le ragioni del fenomeno non è cosa da poco. Il mercato svizzero è ormai perduto, e se la prima ragione è il calo di qualità, non è certamente la sola. Al vino che parla italiano si chiede una forte identità e sicure doti di eccellenza. In mancanza, un prodotto vale l’altro.

Ma la qualità non matura nel volgere di una vendemmia. C’è bisogno di rinnovare i vigneti e i criteri di allevamento, e poi – con uve selezionate – vinificare in una cantina di avanzata tecnologia. E non basta. Perché la qualità da sola non fa mercato. E allora va rivista la comunicazione, i rapporti con la clientela, la preparazione del personale.

Casimiro Maule porta in Consiglio di amministrazione “sia la diagnosi che la cura”, e alla fine la spunta. Caricato della piena investitura, dà il via alla grande rimonta. Una vera rivoluzione. Niente rimane intoccato e niente sarà come prima. Nasce la Negri di Maule, forte solo del suo antico retaggio, datato 1897.

L’avventura dello Sfurzat prende l’avvio in questa stagione, e impone una paziente ricerca. Il nome è legato alla forzatura dell’uva chiavennasca (Nebbiolo) lasciata appassire a lungo prima della pigiatura, per concentrare il succo zuccherino degli acini. E’ un vino di origine remotissima, con ogni probabilità greca, ma alquanto scaduto dopo secoli di grande prestigio. Casimiro ne rinverdisce le sorti, attraverso un processo senza precedenti. “Almeno tre mesi di appassimento naturale, con la conseguente riduzione di circa il 40% dell’uva rispetto a quella fresca. Poi, una pigiatura soft e l’avviamento del mosto con le bucce al processo di fermentazione, per circa un mese. La svinatura darà un vino rosso vivo e ancora dolce, con un’elevata gradazione alcolica. Segue l’affinamento in piccole botti di rovere o in barrique, e solo dopo due anni passa in bottiglia. In apparenza è semplice, ma il vino è un elemento vivo, aperto a qualsiasi incognita”.

Riprendono intanto quota, e via via si affermano con sempre maggiore prestigio, anche le tre Docg Valtellina Superiore, della Negri: la Vigna Sassorosso Grumello, il Vigneto Fracia e le Tense Sassella. Tutti vini che hanno ormai assai poco in comune con la precedente produzione.

In giro per l’antico abitato di Chiuro - un impianto serrato fra vicoli stretti e piccoli slarghi - ripercorro con Casimiro le tappe più significative sia della Negri che della sua gestione. “Nell’86 l’azienda entra nel Gruppo Italiano Vini (del quale Maule fa ancora parte del Consiglio di Amministrazione), che ha poi rilevato anche l’Enologica Valtellinese, altro storico marchio. Al Gruppo spetta, tra l’altro, il merito di aver curato con molto rigore e senza risparmio il restauro del Castello Quadrio e delle sue undici cantine. Da quella data, Maule ha avuto la totale responsabilità sia tecnica che amministrativa dell’azienda. Anche se Casimiro ha vissuto il mondo del vino non dall’ottica di un’impresa, bensì da quella del territorio in cui opera. “Senza la crescita dell’intero comprensorio, senza elevare l’indice di qualità delle uve e le tecniche di intervento in cantina dell’intera Valtellina, ogni sforzo sarebbe stato inutile. Una noce nel sacco non fa rumore…”.

Così ha presieduto per ben dodici anni il Consorzio di Tutela ed ha nel contempo portato avanti un ambizioso progetto, di cui gli viene riconosciuta l’assoluta paternità. I terreni vitati nella valle superano gli ottocento ettari, che sono purtroppo divisi fra oltre duemila produttori, con ogni comprensibile divario nella qualità delle uve. La nascita della Cooperativa Vivas (Viticoltori Valtellinesi Associati) – un altro organismo associativo che Casimiro continua a curare - ha posto fine a questa situazione. In cambio di assistenza nei vigneti e di un riconoscimento economico sui maggiori utili delle aziende, i viticoltori garantiscono uno standard di qualità, del tutto sconosciuto prima.

E non basta. Nel 2003 è fra gli ideatori della Provinea, una fondazione tra la Provincia di Sondrio, la Camera di Commercio e il Consorzio di Tutela. Scopo primario, quello di candidare i terrazzamenti della Valtellina quale patrimonio dell’Unesco. Risultato ottenuto lo scorso anno, con il riconoscimento dei muretti a secco. Intanto, Ermanno Olmi gira un film ambientato interamente nei quaranta chilometri più suggestivi della Valle.

Una vita all’insegna del vino, lascia poco spazio al privato. A meno che non si ritorni agli anni giovanili. “Partecipavo con piacere alle corse campestri e facevo un po’ di ciclismo. Allora la bicicletta era il solo mezzo per un giovane. Il mio campione è stato Merckx”. Anche le preferenze musicali vanno ricondotte a quegli anni, da Celentano alla Cinquetti, con un allungo fino a Battisti e a Vande Sfross (vai di fretta), un cantante dialettale, come il suo nome d’arte.

Sul fronte sociale, niente politica, nonostante le continue sollecitazioni del Comune e della Provincia. Ha accettato, però, di presiedere la Casa per Anziani di Chiuro, una bella struttura con sessanta posti, della cui piena efficienza è assai orgoglioso. E’ Cavaliere della Repubblica, consigliere della Banca d’Italia, rotaryano, ed è stato insignito del Premio Cangrande della Scala “per aver dato impulso alla vitivinicoltura della Valtellina”.

D’estate si concede un breve soggiorno in Sardegna, a Villa Simius, con la moglie Marisa e la figlia Sara, laureata in Scienza della Gastronomia all’Università di Pollenzo, master in Marketing e Comunicazione alla Bocconi, fino alla scelta di lavorare a New York, sempre nel mondo del vino. “Ma io anche in vacanza continuo ad andare a letto alle dieci di sera. In questo sono rimasto un contadino”.

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