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Il radicchio si diffonde nel Veneto

di Enzo Gambin

In questa seconda parte della storia dei Radicchi affrontiamo il tema della loro diffusione nel Veneto. Tra il Cinquecento e il Seicento, la coltivazione dei radicchi si estese nel Veneto. Li troviamo rappresentati all’interno di opere pittoriche Cinquecentesche dei Da Ponte da Bassano, artisti della “pittura di genere”, che raffiguravano scene ed eventi colti dalla vita quotidiana. Nei loro quadri erano rappresentate scene di vita popolare e i prodotti della terra, come frutta e verdura, pesci e selvaggina. Così ora troviamo all’interno delle loro opere cespi di radicchi rossi dalle lunghe nervature bianche, come nelle “Nozze di Cana”, opera esposta al Louvre di Parigi, o nelle “Scene di mercato”, lavoro presente nella Galleria Sabauda di Torino, dove, in bellavista, appaiono ceste di radicchi del tutto simili a quelli che coltiviamo ora. Si può considerare quindi che il consumo dei radicchi rossi al tempo era già diffuso e apprezzato. Agli inizi dell’Ottocento l’appellativo “radicchio” è oramai termine d’uso comune identificato come Radecetti - Radecio de campo e de òrto, come riporta il “Dizionario Botanico Veronese” del1817 di Lorenzo Monti. Pure nel “Nuovo Dizionario Universale di Agricoltura” di Francesco Gegra – Venezia 1842 – si legge: “ Nel giorno di quest’ultima piantagione seminano nella tavola stessa radicchio e porri; alla fine di marzo vendono il radicchio, al principio di maggio le insalate ed i porri in giugno. …. Nella terza stagione si concima come nella prima, e vi si semina il radicchio, il solatro, vi si pianta la cicoria, ecc.” Come si doveva coltivare il radicchio lo espone Ciro Pollini, medico e botanico operante a Verona, nel suo “Catechismo agrario” del 1821: “La cicoria o radicchio di cui avvi la varietà selvatica volgare in tutta la provincia, e la varietà domestica, che non è altro che la varietà selvatica migliorata dalla coltura, vuol terreno sciolto e fresco, ricco e profondo. Si semina dall’uscita di marzo fino a…

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