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Il "D'Aquileia" di Cividale del Friuli

di Nino d'Antonio

Sorprende che un territorio di antica tradizione vitivinicola, quale il Friuli (basti pensare al retaggio di storia del Picolit) abbia tardato tanto ad avere una Scuola di Enologia. E non solo rispetto a San Michele all’Adige, Conegliano, Alba, Ascoli Piceno, ma anche ad Avellino, Catania, Marsala, tutte istituzioni attive fin dall’ultimo ventennio dell’Ottocento. Poi si scopre che le ragioni vanno ancora una volta ricercate in quella economia agricola, che ha segnato a lungo le comunità dei Colli Orientali del Friuli, a partire da Cividale. Così la Scuola, nata nel 1924, ha avuto ben altre finalità. Corsi triennali per “ortolani, potatori, innestatori, casari, allevatori di bestiame, apicoltori”. Insomma, un’area didattica tutta all’insegna della ruralità, e questo anche per chi volesse proseguire gli studi. Il biennio successivo, infatti, portava a conseguire il titolo di “Agente rurale”.

E il vino? Allora stentava ad avere una sua collocazione. D’altra parte, ogni famiglia poteva contare insieme all’orto e al pollaio, anche su un piccolo vigneto. Per cui fra le due guerre non ci sarà spazio al di là del modesto mercato locale. La stessa distribuzione del Picolit (peraltro limitata a non più di qualche centinaio di bottiglie) aveva canali assai ristretti.

Poi, nei primi anni Sessanta, intorno al mondo del vino comincia a delinearsi una sottile spirale, che prenderà sempre più forma. E’ l’avvio di quel processo che felicemente continua a crescere. Qualcuno più lungimirante comincia a rinnovare le attrezzature in cantina e a richiedere il contributo di un tecnico per migliorare il proprio vino. Si fa strada intanto, con ogni cautela, la figura dell’enotecnico (quella dell’enologo è ancora da venire), destinata a sostituire spesso, sia pure a mezzadria, quella del capocantiniere.

E’ la stagione in cui anche la Scuola di Cividale si prepara a camminare con i tempi. Prima la nascita dell’Istituto Tecnico Agrario, come sezione staccata di Conegliano, poi l’autonomia. E nell’‘81 i primi corsi di Viticoltura ed Enologia. Ci siamo. Anche se c’è voluto oltre un secolo perché Cividale avesse una sua scuola, in linea con le tradizioni viticole del territorio, ma senza per questo trascurare i corsi di Gestione dell’Ambiente e del Territorio, nonché quelli di Produzioni e Trasformazioni, come recita tutt’oggi l’offerta formativa dell’Istituto.

Vi arrivo - non lontano dalla stazione, dove una “navetta” va su e giù da Udine – attraverso un viale che sa di bosco, tanto è fitto di alberi. Poi un portale di mattoni ad arco, con chiave di volta e due muri forati a delimitare l’area della scuola.

Lo spiazzo, quantomai ampio, ha una sua suggestione per quegli edifici che conservano il sapore delle vecchie ville di campagna. Alberi di alto fusto accrescono il dominio del verde, scandito anche dalla felice geometria di una serie di aiuole. “E’ opera del mio predecessore” mi dirà più tardi il preside.

Il nome della scuola è altisonante: quello dell’illuminato patriarca Paolino d’Aquileia. Roba dell’ottavo secolo, ripresa forse nel tentativo di suggerire un legame con il tessuto storico di Cividale. Impresa tutt’altro che facile, visto che le vicende del Forum Iulii partono dalle genti longobarde (sul territorio per oltre due secoli, e misteriosamente scomparse) per passare poi alla distruzione di Aquileia e all’avvento di Roma. Che eleva Cividale a capoluogo di Venetia et Histria, aprendo così quella stagione che vedrà la cittadina farsi ducato, marca, contea. Un lungo viaggio dal Medioevo patriarcale ai secoli della Serenissima.

La Scuola conta oggi circa cinquecento allievi per l’Agraria e oltre quaranta docenti, di cui la metà con ruoli tecnici. Il rapporto è più che mai comprensibile, se si pensa che c’è da gestire un’azienda agricola, con finalità didattiche, di oltre ventuno ettari, tre dei quali a vigneto, per un totale di circa dodicimila bottiglie.

Sono cifre di tutto rispetto, considerato l’impegno che la struttura richiede. La quale include un allevamento di animali, la fattoria, il frantoio, la cantina, i vivai e il caseificio. Una realtà quantomai vasta e differenziata, cui sono da aggiungere lo spaccio aziendale e la mensa. Perché non va dimenticato che la Scuola di Cividale vanta un’estensione di terreno, che ha pochi riscontri con le altre scuole. Le quali mediamente operano su aziende più modeste, a partire dai quindici ettari di Conegliano. E il Friuli, anche sotto quest’aspetto, è una realtà di non facile approccio. Intanto, è terra di confine, e questo significa un miscuglio di etnie e di parlate. Dal friulano (diffuso fra circa seicentomila persone, cioè la metà dell’intera popolazione) all’italiano allo sloveno al tedesco. Ma pure la geografia ha le sue anomalie e i suoi forti contrasti. Si pensi al Friuli dell’Isonzo rispetto al Collio, o al diffuso microclima, che sui ventimila ettari di vigneti dà luogo a frequenti e imprevedibili varianti, anche nello spazio di poche centinaia di metri.

E il Picolit? Continua a esercitare la suggestione di un tempo? La domanda esula dal contesto dei vini oggetto delle ricerche didattiche. Tuttavia non tarda a venir fuori il richiamo a Goldoni. E la gemma enologica più splendida del Friuli dà l’avvio a qualche garbata annotazione, anche in questo caso non priva di sfumature. Tocca perciò a me tirare le somme. A partire da quel nome, tutto legato alla modesta dimensione del peduncolo, cui si aggiunge la ridotta fecondazione dei fiori – quasi un aborto naturale – e i pochissimi acini. Non più di dodici-quindici per grappolo. Il conte Asquini lanciò il Picolit a metà del Settecento, superando ogni incognita circa la buona conservazione del vino durante i viaggi. Ne è prova il fatto che il Picolit si affermò dalla corte di Vienna a quella degli zar. Poi, nel Novecento, è stato sul punto di scomparire.

E qui la rinascita si deve a Luigi Veronelli e alla contessa Perusini. La mia visita rischia di non avere fine. Tali e tante sono le sezioni da vedere. Dai severi laboratori di analisi al coro di muggiti della stalla, dalle aule alla cantina, al Centro Convegni, all’Aula Magna, che può contare su ben cinquecento posti e una tecnologia d’avanguardia.

Ho bisogno di un chiarimento sulla popolazione scolastica e su quel vigneto sperimentale, avviato qualche anno fa. “E’ in crescita la frequenza al corso di Produzione e Formazione, anche da parte delle ragazze, che ormai rappresentano un quinto degli allievi. Per quanto riguarda il vigneto è un’iniziativa d’avanguardia, portata avanti in collaborazione con l’Università di Udine. Il d’Aquileia è tra le più attive istituzioni in materia di scambi culturali. Un terreno quantomai ricco di stimolazioni, che in ogni caso vanno gestite con opportune scelte. Certo, il richiamo della Borgogna e degli Chateaux è irresistibile, ma sarebbe poco utile senza aver prima conosciuto i territori della nostra spumantistica, dal Piemonte alla Franciacorta.

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