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L'Eurofungo della Val Taro

di Pier Giovanni Bracchi

Situato nell’alta Val Taro, sulla sinistra del fiume, Borgo Val di Taro, comunemente detto Borgotaro, è il centro più importante dell’Appennino parmense.

Se Alba, Norcia, Acqualagna evocano l’idea del tartufo bianco o nero, se nomini Borgo Val di Taro non puoi fare a meno di pensare ai pregiati porcini che, verso la fine del secolo scorso, sono diventati “eurofunghi “

dal momento che si sono guadagnati sul campo - sarebbe più corretto dire, nel bosco - l’ambito riconoscimento dell’ Indicazione Geografica Protetta, IGP , unico fungo in Europa che si fregia di questo marchio.

Ma quali sono stati gli elementi naturali, vale a dire gli aspetti ecologici che hanno contribuito alla qualifica speciale di Fungo di Borgotaro?

Facciamo un passo indietro e vediamo il curriculum vitae di questo fortunato porcino.

A partire dall’anno Mille, il vasto territorio posto alla destra del fiume, è stato oggetto di un intenso programma di rimboschimento. I monaci Benedettini, presenti nella zona, iniziarono a piantare numerosi fusti di latifoglie, per lo più castagni, che, nel corso degli anni, si svilupparono in larghissima macchia boschiva, forse la macchia di castagneti più compatta ed omogenea d’Europa. Questa foresta scende per la vicina Lunigiana sino al mar Tirreno e, lungo i crinali del passo di Cento Croci e del Bocco, sino al mar Ligure.

Alcuni anni fa, Meinhard Moser dell’Università di Innsbruk , massima autorità in campo micologico, dopo aver visitato questi boschi, non potè fare a meno di esclamare: “ As Patagonia!”, cioè come la Patagonia.

Questo è l’ambiente straordinario che ha potuto produrre questo micete.D’altra parte un pò di curiosità ci spinge ad arricchire le nostre conoscenze sulla vita di questi organismi viventi, che si sviluppano grazie, una sorta di “ do ut des” direbbero i latini. Il fungo cede alla pianta elementi minerali, tra cui il fosforo, indispensabile per la crescita del vegetale, mentre riceve direttamente zuccheri per il suo metabolismo da parte delle radici della pianta stessa.

Quando raccogliamo un fungo, ne raccogliamo solo la parte emergente, il corpo fruttifero, mentre sotto il terreno si dirama, il micelio, un fitto intrico di lunghi filamenti che si sviluppa anche per lunghi tratti, addirittura chilometri e che, creando un legame( detto micorriza) con la pianta ospite, - una vera coppia di fatto- produrrà nuovi corpi fruttiferi che hanno il fondamentale compito di disperdere le spore che produrranno un nuovo micelio.Un moto perpetuo naturale.

La commercializzazione del fungo di Borgotaro è menzionata per la prima volta nel ‘600 nella Istoria di Borgo Val di Taro scritta da Clemente Cassio, nativo di Borgotaro e canonico presso la corte del papa.

In un passo del testo infatti, il Cassaio narra come in autunno si facesse ampia raccolta e vendita degli “ indorati boleti“ che, messi “ sotto sale”, venivano “ trasmessi ad altri paesi “.

A tale proposito, è iniziato attorno al 1890, un percorso commerciale, messo in atto da una ditta locale “ Bruschi Lazzaro”, non solo verso l’Europa (come Londra), ma anche verso l’America del Nord( S. Francisco, New York) e l’America del Sud ( Buenos Aires, Montevideo, San Paolo), che sta a dimostrare che questo prodotto divenne famoso anche oltreoceano.

Possiamo così affermare che il fungo ha rappresentato per le intere realtà territoriali locali, un aspetto, che è stato sicuramente un grande volano di sviluppo.

Questa realtà produttiva, unica, non solo per il prestigioso riconoscimento IGP, che gli è stato conferito, ma anche per una qualità esclusiva che, per le proprie caratteristiche organolettiche , ha fatto scattare una serie di attività di ricerca e di impegno, portata avanti egregiamente, in tutti questi anni dal Centro Studi per la Flora Mediterranea, sodalizio scientifico, con sede a Borgotaro, di cui era membro anche il compianto prof. Moser, già citato all’inizio.

Sin dai primi anni della sua costituzione (1980), questo centro ha organizzato una lunga serie di mostre e convegni nazionali ed internazionali con la partecipazione del “gotha della micologia ”.

D’altro canto è chiaro che questo prodotto è tanto inserito e connaturato con la realtà culturale ed enogastronomia del “ Borgo”,che non si possono dimenticare figure che hanno fatto grande il capoluogo valtarese, anche sotto l’aspetto della cucina: si deve a Camillo Delmaestro, primo delegato locale dell’Accademia Italiana della Cucina,

l’invenzione, nei primi anni ’60, del Settembre Gastronomico Borgotarese, diventato in seguito Autunno Gastronomico Valtarese : questa manifestazione, bisogna dire, ha avuto un grande successo nella divulgazione della gastronomia del fungo porcino: da parecchi anni, ristoranti e trattorie della vallata, si sfidano nella tradizionale competizione gastronomica con piatti a base di porcini. Una giuria di esperti gastronomi, alla fine, premia il vincitore con l’ambito “Fungo d’Oro”

Un altro pioniere locale a cui va riconosciuto molto merito, è stato il “il mitico Giovanni Delgrosso”

Il suo antro, un locale davvero angusto e decisamente non elegante, è stato per tanti anni il vero punto di riferimento, ma anche la vetrina attraverso la quale questo prodotto ha avuto la rinomanza e la fama, che poi ha ben meritato. E’ rimasto nella leggenda, fra le creazioni esclusive di questo singolare cuoco, il famoso “ pavesino”, ovvero il fungo fritto, che coadiuvato dalla moglie, realizzava con una manualità ed una professionalità uniche.

Possiamo ben dire che questo porcino si è davvero fatto in “quattro” per presentarsi nelle diverse stagioni e diversificarsi con “abiti” diversi.

Ai magnifici quattro del il gruppo Edulis appartengono queste specie:

Boletus aestivalis o reticulatus ,porcino rosso, Boletus aereus, porcino bruno scuro, Boletus pinophilus, porcino moro,Boletus edulis ,colore cangiante dal bianco, crema, nocciola, bruno castano, bruno rossastro.

Naturalmente, il Boletus edulis, è considerato il “ re dei funghi”, sia per il suo aspetto che per la sua squisitezza. Cresce da settembre sino all’arrivo della prima neve e per questo motivo viene anche chiamato “fungo del freddo”. Con gradita sorpresa, dai primi di questo settembre, nell’areale valtarese, è iniziata una crescita eccezionale di porcini, quella che un tempo i vecchi valligiani chiamavano il miracolo della “ nasciòn”, cioè della nascita.

In queste zone, i cercatori professionisti locali vanno quasi esclusivamente solo “a porcini”; raramente viene prestata attenzione ad altre specie commestibili. Soltanto nelle annate di “magra” si raccolgono, russule, galletti, grifi prataioli e pochi altri. Nonostante l’epocale siccità, nessuno si sarebbe aspettato questa crescita esplosiva: tuttavia, le grandinate, anche disastrose del mese di agosto, hanno rigenerato il sottosuolo boschivo, sia attraverso un lento scioglimento della grandine, più efficace rispetto alle cosiddette “bombe d’acqua”, sia con il giusto mix di caldo-umido.

Così ha sentenziato l’esperto micologo locale. Inoltre il fungo fresco è un prodotto molto deperibile che va consumato in breve tempo; la essiccazione è la pratica più semplice per la conservazione e la successiva commercializzazione. E’ proprio da “secco” che emana una vera carica di aromi straordinaria, capace di insaporire molti piatti, primi e secondi che siano, prolungandone, inoltre, l’impiego tutto l’anno.

Tuttavia i funghi estivi, che nascono nei boschi di faggio e di quercia non sono quelli “giusti”. Bisognerà attendere la nascita dei quelli autunnali, vale a dire i boleti che nascono nei castagneti, i migliori. L’antica saggezza contadina aveva osservato che nel periodo estivo gli insetti deponevano uova nelle parti fungine; una volta essiccate, lo sviluppo di particolari farfalle polverizzavano intere partite. Bastava aspettare la luna giusta, evidentemente quella in cui gli insetti avevano ormai concluso il loro ciclo riproduttivo, e i funghi secchi potevano conservarsi per lunghi periodi.

La grande “ buttata” di porcini e, in qualche caso, anche di ovoli,(Amanita caesarea), consumati quest’ultimi anche crudi, riportano alla mente che il fungo, che è stato “ di casa”, in pratica, in tutte le famiglie valligiane, nelle cucine non solo dei borgotaresi del centro, ma anche delle frazioni, ha costituito, in particolari momenti, l’alimento che ha letteralmente “sfamato” intere generazioni, per diventare poi portata d’eccellenza, nelle tavole più importanti, non solo in Italia, ma, grazie anche ai ristoratori emigrati, praticamente un pò in tutto il mondo.

Oggi, dopo le restrizioni imposte dalla pandemia per due anni, la natura, tempestivamente provvida, ha “calato un carico da undici”, tirando fuori queste primizie gastronomiche, che oltretutto, in questo momento di crisi economica ed energetica, vengono prodotte sfruttando soltanto energia rinnovabile.

A coronamento di tutto questo, il 17 settembre è stato inaugurato il Museo del Fungo Porcino di Borgotaro, l’ultimo nato fra i Musei del Cibo della provincia di Parma.

Diverse sono le sedi che gli sono state riservate: una nel centro storico, appena menzionata, una ad Albareto, altro cento importante per la raccolta dei funghi ed infine un’altra in una ex-scuola nei pressi del monte Molinatico. Il percorso espositivo fa riferimento al bosco, alla raccolta e alla lavorazione del prezioso micete, senza trascurare il suo coinvolgimento nella storia locale, nella cultura, nell’arte, nella micologia e nella gastronomia, mentre nella sede periferica verrà realizzato il centro didattico. In conclusione, il Fungo di Borgotaro, in virtù di una legge regionale, può far riferimento anche alla Strada del Fungo Porcino, un organismo che abbraccia istituzioni, Comuni e privati, allo scopo di interagire, insieme, su questo aspetto importante, legato all’economia della vallata ed, al tempo stesso compiere ed incrementare un’opera di valorizzazione territoriale.

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