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Vini con il "ritocco"

di Michele Scognamiglio

Per la vastità di significati che racchiude, e per tutto quanto ad esso riconduce,il vino, lascia inevitabilmente ancora molti quesiti irrisolti, dove le scuole di pensiero sono diverse e spesso contrapposte.

Solo per citare alcuni degli “eno” aspetti sui quali non vi è comune

consenso, basti pensare all’esatta collocazione geografica e temporale della “nascita” del “protovino”.

In questo caso, vogliamo parlare della “querelle” sempre viva, relativa alla contesa tra i cosiddetti vini naturali e quelli per così dire artificiali, tipici per lo più dei nuovi mondi dove l’uomo e la natura non sono i soli artefici del prodotto finale.

Da una parte, il vino, dove il vignaiolo è ancora l’“artigiano” della sua creatura, figlia della sua competenza,della sua esperienza e talvolta dei suoi errori senza contrastare i voleri della natura. Dall’altra il vino, senza difetti, quello che viene condotto da più mani al risultato già immaginato, il vino che si piega alle esigenze del suo demiurgo, a quelle della moda enologica del momento, o alle pressanti richieste del mercato.

Vini dalla personalità netta, tipica, magari spigolosa contro vini personalizzati,facilmente riconoscibili e soprattutto amichevoli al primo incontro.

E’ difficile schierarsi apertamente ed in maniera definitiva per l’una o l’altra fazione, una soluzione alquanto diplomatica potrebbe essere quella di rivolgersi ad entrambe le tipologie di vino in contesti e momenti differenti, a patto però che non si tratti di pacchiane manipolazioni.

E un pò come schierarsi a prescindere a favore o contrari del “ritocco” nel caso del gentil sesso, sempre meglio lasciar parlare il risultato finale!

Occorre considerare anche, che a favorire il ricorso ai vini “con l’aiutino” come da progetto, contribuiscono diversi fattori.

Tra questi, uno non trascurabile è che il vino, appena ci si allontana dal Mediterraneo, dove si è caricato nel corso dei millenni di una sua cultura intrisa di profondi riti, miti e tradizioni, perde buona parte del suo significato aulico e diventa per dirla all’anglosassone maniera, semplice entertainment.

Fuori dai confini mediterranei,si beve vino meno che da noi e per lo più lontano dai pasti per puro diletto, per “evasione” e spesso a far pareggiare le entrate col vino, ci pensano bevande dalla maggior potenza alcolica.

Più a occidente, ed ancor di più ad oriente non ci si arrovella come dalle nostre parti, a cercare sempre al vino la giusta compagnia a tavola.

Appare piuttosto scontato che quel calice bevuto per “intrattenimento”, lo si desideri “ruffiano”, piacione, capace soprattutto di notevoli performances aromatiche facilmente riconoscibili.

E’ tuttavia doveroso rimarcare come l’ effetto del matrimonio vino-cibo, quando lo si “azzecca”, ha l’innegabile vantaggio di esaltare vicendevolmente le potenzialita gustative di entrambi i “coniugi”.

Dimenticavo, tra le faccende ancora aperte, vi è quella che contrappone le due opposte frange: da una parte i sostenitori ad oltranza del vino che fa sempre e comunque bene, dall’altra quelli che vedono nel vino solo un nemico della salute.

In questo caso è facile schierarsi. Ogni volta che il pensiero si colloca agli estremi, si è sempre dalla parte sbagliata, e così accade che quando l’integralismo finisce... nel bicchiere,fa sempre e solo danni!

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