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I grandi Nebbioli della Fay

di Nino D’Antonio

L’uva della Valtellina – per notorietà, eccellenza ed estensione degli impianti – è il Nebbiolo, che qui assume la denominazione di Chiavennasca. Concepire il territorio senza la presenza di questo vitigno è come rinunciare all’identità enologica della Valle. I terrazzamenti del Sassella, Grumello, Inferno e Valgella non sarebbero più gli stessi senza gli impianti di Nebbiolo. Così il rapporto vitigno-ambiente si è talmente saldato nel tempo, per cui non è più possibile scindere l’uno dall’altro.

La Valtellina è nata dal bacino dell’Adda, a monte del lago di Como. E corre stretta e lunga per circa centoventi chilometri, una sorta di budello, dove i monti sui due versanti si chiudono in uno scenografico fondale. E sono quei monti, dai quali l’opera dell’uomo ha ricavato nei secoli una serie di terrazzamenti, sfalsati come enormi gradoni, che dentellano le rocce con una esasperante geometria di muretti a secco. I quali corrono per oltre 2500 chilometri e costituiscono uno straordinario impianto, espressivo di quella civiltà contadina che l’Unesco è chiamata a tutelare. E’ appena il caso di aggiungere che, strappato lo spazio alla roccia e costruito il muretto di contenimento, è stato necessario portare quassù la terra, con carichi a spalla, lungo i fianchi scoscesi della montagna tagliata a salti.

Un’impresa eroica, oggi neppure immaginabile. In questa realtà, che non ha riscontro nella viticoltura europea, opera a S. Giacomo Teglio la Fay, una cantina che non è una grande azienda, ma che è riuscita a ritagliarsi - grazie all’orgoglio e alla costante dedizione di Sandro Fay (e prima ancora di suo padre Pietro) - un posto di tutto rispetto fra i più qualificati produttori della Valle. In cifre, si tratta di quattordici ettari, circa 70mila bottiglie e sei etichette.

Ma non è da qui che si misura la qualità e il prestigio di un marchio con circa mezzo secolo di storia.

Oggi a Sandro Fay (alla soglia dei sessantanni e una giovanile disinvoltura) si è aggiunta la presenza dei due figli, Elena e Marco. Il quale ha ereditato in pieno l’amore paterno per il vino e soprattutto per la ricerca sulle potenzialità del Nebbiolo, che ormai porta avanti da circa dieci anni con imprevedibili risultati. Marco ha studiato a S.Michele all’Adige ed è considerato fra le punte più avanzate dei giovani enologi in Valtellina. “Con mio figlio – mi dice Sandro - abbiamo messo in atto una politica aziendale, che ha pochi riscontri sul territorio. Una scelta che punta all’eccellenza dei nostri vini. In pratica, a parte unadrastica riduzione della resa, operiamo una netta distinzione delle uve, in base alle varie altitudini da cui provengono. Così per ogni tipologia è prevista una sua vinificazione, il che equivale in effetti a dei veri e propri cru”. Il discorso si fa tecnico, entrano in gioco le caratteristiche pedologiche della Valtellina, i terreni poco profondi (ricordo che la terra è stata portata quassù), acidi e privi di argilla. Questo favorisce la finezza e l’eleganza che è propria della Chiavennasca, rispetto alla robustezza e alla struttura del Nebbiolo delle Langhe. Ora, se si vogliono esaltare queste doti, c’è una sola via: ricercarle all’interno di ogni singola vigna, alla luce delle variazioni altimetriche e quindi climatiche.

Così Sandro e Marco Fay – dopo una serie di prove di vinificazione dei singoli vigneti – hanno diviso la Valgella in tre fasce, a seconda dell’altezza, destinando ad ognuna di esse un tipo di viti e quindi divino. Si hanno così nella zona più bassa, che risente maggiormente dei fenomeni di inversione termica e di ristagno dell’umidità, i vini più semplici, come il Nebbiolo Terrazze Retiche Igt. In quella media, che va dai quattro ai cinquecentocinquanta metri, trovano invece spazio le selezioni da singola vigna (ed è il caso de La Faya, del Glicine, di Cà Morei e di Carterìa). E infine la zona più elevata, fino a settecento metri, che ospita lo Sforzato Ronco del Picchio.

Siamo al top delle uve che garantiscono, al momento della vendemmia, un maggior equilibrio fra zuccheri e acidità. Un requisito che, nonostante il previsto appassimento, consente di non mortificare il rapporto fra potenza e freschezza. Ma diamo uno sguardo più da vicino ai vini, tutti meritevoli di un sicuro apprezzamento, visto che sono il risultato sia della nuova metodologia targata Fay che dell’impegno e dell’amore, conservato intatto attraverso tre generazioni. Sandro Fay cura infatti le vigne di Cà Morei e di Carterìa, in Valgella, che già furono della mamma e del papà, con la stessa devozione che vi dedicarono i genitori. Certo, la terra è cresciuta e così la cantina, ma lo spirito e l’orgoglio di fare del Nebbiolo, degno di ogni lode è rimasto quello di un tempo. E cominciamo dallo Sforzato Ronco del Picchio, Nebbiolo allevato a Guyot, esposto a sud, ad oltre seicento metri. Vendemmia più che selezionata a metà ottobre e appassimento nel fruttario per oltre due mesi.

La fermentazione alcolica avviene in vasche d’acciaio per venti giorni, con macerazione di dieci. Seguono la malolattica e la maturazione per un anno, entrambe in barrique. Siamo di fronte a un vino che gli stessi produttori di Sfursat considerano tra i più rappresentati nel suo genere. Un giudizio da estendere, con pieno convincimento, anche alle altre tre Docg della Fay: Cà Morei, Carterìa e Il Glicine, tutte sotto la denominazione di Valtellina Superiore Valgella. Si tratta di un trittico che rappresenta il top della Cantina, anche per il ristretto numero delle bottiglie, che complessivamente superano appena le ventimila. La produzione dell’azienda è integrata da due Igt, Nebbiolo e La Faya. La prima con uve ottenute sia dalla Valgella che dalla Sassella, allevate a Guyot e a Sylvoz, il tipico impianto valtellinese.

Per La Faya, invece, siamo a un blend assai felice di Nebbiolo 65%, Merlot 25% e Syrah 10%, tutte uve provenienti da Valgella, Vigna Carterìa, ancora a cinquecento metri di altezza. La citazione di questi vini rischia di diventare arida, mentre invece dietro ognuno di essi c’è la storia e lo spirito di un uomo e di una famiglia che hanno fatto dei destini del Nebbiolo lo scopo della loro vita.

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