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La Banana: frutto del Paradiso e dei sapienti

di Enzo Gambin

“Banana” è una delle poche parole che è simile in tante lingue, giunge all’italiano dal portoghese “banana” che, a sua volta, si rifà a “banaana”, termine della lingua senegalese wolof, che identifica questo frutto.

Alcuni autori hanno considerato che “banana” potrebbe provenire anche dall’arabo “banān”, che ha il significato di “punta del dito”, per la sua forma, lunga e arcuata, e, anche se risalendo a ritroso la storia di questo vocabolo potrebbe non avere un appropriato valore etimologico, ha un suo senso.

Dobbiamo pensare che la banana è un frutto equatoriale, che per millenni si è sviluppato all’interno di foreste pluviali, dove la luce del sole arrivava a stento, così, per riceverla e maturare, ha dovuto curvarsi verso l’alto, generando un “geotropismo negativo”, all’opposto delle radici, che vanno verso il basso, geotropismo positivo, prendendo così la forma di un dito.

Studiosi di linguistica non escludono pure che l’origine del nome derivi da un luogo geografico e, in effetti, esiste la città di Banana, una tra le più antiche della Repubblica Democratica del Congo, che è il porto della foce del fiume Congo, sulla costa atlantica.

Dubbi anche a metà Settecento, quando il medico e naturalista svedese Carlo Linneo, 1707 - 1778, ideò la classificazione scientifica degli organismi viventi con una coppia di nomi latini, il primo per il genere, il secondo per la specie, e, per la banana, prese come genere la parola “Musa” poi “sapientum” e “paradisiaca” per le due specie conosciute.

Non sappiamo il motivo per il quale Linneo preferì questi termini, forse trasse “Musa” dall’arabo “موز” “mūza”, che indicava la banana, e aveva somiglianza con il termine latino “Musa”, divinità delle scienze, da cui deriva pure “museo”.

Può anche essere che Linneo avesse l’intenzione onorare il sapiente, Antonio Musa, medico dell’imperatore Augusto, 23 – 63 a.C., che curò così bene l’imperatore tanto che l’imperatore stesso fece realizzata una statua in onore di questo archiatra e la fece collocare accanto a quella di Esculapio, il patrono della medicina. Da questo ipotesi è sorta “Musa sapientum”.

Quasi certamente per l’epiteto “paradisiaca” Linneo accolse quelle credenza orientali che facevano della banana il frutto proibito del Paradiso terrestre e, quando Adamo ed Eva furono cacciati, si ricopersero il corpo di foglie di banano. Da questo la definizione “Musa paradisiaca” e alcuni chiamarono pure il banano “fico del Paradiso” o “fico di Adamo”.

Lineo era molto legato alle banane perché, nel 1736, in una piccola serra riscaldata a Heemstede, nel nord dell’Olanda, riuscì, per la prima volta in Europea, a produrne dei piccoli frutti. Questo fatto gli dette un successo importante, perché superò in bravura uno fra i più affermati botanici dell’epoca, il francese Antoine Jussieu, 1686 –1758, che aveva fallito in questa impresa.

La pianta di banano è conosciuta e apprezzata sin da tempi antichi, proviene dall’Estremo Oriente, dalle regioni dell’India, Malesia, Filippine e Thailandia, Marco Polo ne fa riferimento nel sul “Il Milione” chiamandolo “mela del paradiso”. “ … Essi non mangiano su piatti ma mettono il cibo su foglie di “mela del paradiso”, o su altre foglie larghe, che usano tuttavia in forma secca, mai verdi. Giacché essi dicono che le foglie verdi hanno delle anime nel loro interno e sarebbe peccato staccarle dalle piante. E sarebbe disposti a morire anzi che commettere un qualcosa che le leggi ritengono un peccato”.

Nel 1870 le banane arrivarono negli Stati Uniti, provenienti dall’America Centrale, principalmente dalla Giamaica, e diventarono subito un grande affare economico, influenzando in maniera determinante il mondo della finanza.

Nel 1871, l’imprenditore statunitense Minor Cooper Keith, 1848 –1929, assieme ad altri impresari, costruì una ferrovia sul versante caraibico della Costa Rica e lì iniziò a piantare banani e ad inviare i suoi frutti negli Stati Uniti.

Nel 1899, Cooper fondò la United Fruit Company, che nacque dalla fusione della Boston Fruit Company, azienda di produzione e importazione di banane gestita da Andrew Preston.

Nella prima metà del 1900 la United Fruit Company vendeva banane negli Stati Uniti e in Europa ed era divenuta una potenza economica neocoloniale, con un enorme potere politico, favorita da un periodo d’inarrestabile supremazia degli Stati Uniti, soprattutto nella regione caraibica.

Nei lunghi anni successivi la United Fruit Company si trasformò e ora è presente nei mercati mondiali come Ciquita Brands International Sàrl, con sede in Svizzera e negli Stati Uniti, commercializza banane con il marchio Chiquita.

Sebbene fosse in concorrenza con un’altra società americana, la Standard Fruit Company, la United Fruit Company per decenni mantenne il monopolio in Costa Rica, Honduras e Guatemala, Colombia e Ecuador, stati che vennero chiamati “repubbliche delle banane”.

La Standard Fruit Company fu fondata negli Stati Uniti nel 1924 dai fratelli Vaccaro, originari da una famiglia di immigrati siciliani, che, nel 1899, assieme a Salvador D’Antoni, iniziarono a importare banane a New Orleans da La Ceiba, in Honduras.

Ora la Standard Fruit Company la troviamo come Dole Food Company Inc, multinazionale agricola statunitense, con sede a Westlake Village, California, la più grande produttrice di frutta e verdura al mondo, commercializza banane, ananas, uva, fragole, insalate e succhi di frutta.

L’espressione “repubbliche delle banane” fu ideata nel 1904 dallo scrittore statunitense Williams Sydney Porter, 1862 – 1910, nella raccolta di racconti Kings and Cabbagesdove, dove descrive “Anchuria” una repubblica di fantasia come una “repubblica delle banane”, dove l’economia era totalmente fondata sulle esportazioni di banane, che però sono monopolizzate da società multinazionali statunitensi, corrompendo la classe politica e finanziando colpi di stato.

Ancora oggi parliamo di “repubbliche delle banane” per indicare dei paesi politicamente instabili, largamente dipendenti dall’esportazione di un solo prodotto, basati su malaffare e corruzione ai più alti livelli politici ed economici.

Nel 1911, in occasione di tensioni nell’area dell’Honduras, intervenne l’esercito degli Stati Uniti la cui motivazione ufficiale per fu per tutelare i “lavoratori americani” della United Fruit Company, dando così l’avvio a quelle che furono chiamate “guerre della banana”, con interventi nei Caraibi, a Panama, Nicaragua, Messico, Haiti, Repubblica Dominicana.

Questa serie di conflitti terminò nel 1934, col ritiro delle truppe statunitensi da Haiti e l’inizio della “politica del buon vicinato” del Presidente Franklin Delano Roosevelt, 32º presidente degli Stati Uniti d’America dal 1933 al 1945.

Nel 1954 i colpi di stato nel Centroamerica, soprattutto quello in Guatemala, furono controllati a distanza dagli Stati Uniti, soprattutto per difendere gli interessi della Standard Fruit Company.

Pablo Neruda, 1904 –1973, nella raccolta “Canto General” del 1950, dedica una poesia a “La United Fruit Company”

Quando squillò la tromba,

tutto fu pronto sulla terra

e Geova spartì il mondo

fra Coca-Cola Inc., Anaconda,

Ford Motors, e altre entità:

la Compagnia della Frutta Inc.

si riservò la parte più succosa,

la costa centrale della mia terra,

la dolce cintura d’America.

Ribattezzò le sue terre

come “Repubbliche Banane,

……”

Anche l’Italia ebbe l’epiteto di “Repubblica delle banane”, successe nel 1963, quando scoppiò lo “scandalo delle banane”. Per questa storia si deve premettere che, dal 1935, in Italia vigeva la Regia azienda monopolio banane, RAMB, un’azienda statale costituita per trasportare e commercializzare in Italia le banane prodotte nelle concessioni agricole della Somalia, colonia italiana, che avevano bisogno di una protezione commerciale per essere competitive.

La RAMB costruì depositi nelle principali città italiane e si dotò di una piccola flotta di navi da carico e bananiere.

Nel 1945, a guerra conclusa, la RAMB venne trasformata in Azienda Monopolio Banane, ma venne subito posta in liquidazione.

Nel 1949, però, l’Onu affidò all’Italia un mandato decennale sulla Somalia, così l’Azienda Monopolio Banane venne riattivata per organizzare un’asta che assegnasse per appalto la vendita delle banane, concedendo una protezione tariffaria doganale.

Le offerte delle varie ditte concorrenti furono fatte con il sistema della busta chiusa, ma quando queste vennero aperte, si scoprì che le proposte migliori erano quelle dei vecchi concessionari, con nessuna speranza per gli altri grossisti.

Fu aperta un’inchiesta e si scoprì un giro di bustarelle per accaparrarsi le concessioni e i giornali parlarono dell’Italia come la “Repubblica delle Banane”.

Allora, non a caso, nel 1982, fu prodotto il film “Banana Joe”, diretto da Stefano Vanzina, con primo attore Bud Spencer, dove si raccontava di una non precisata Repubblica Sud-Americana chiamata “Amantido” e il protagonista, Banana Joe, era un piccolo commerciante di banane.

Ad Amantido vi era un boss della malavita che avrebbe voluto monopolizzare questo commercio.

“Banana Joe” si oppose, sbaragliò tutta la ghenga e riportò le compravendite delle banane alla normalità. Su questo argomento, un anno prima, nel 1981, Adriano Celentano, con una propria interpretazione, propose il brano musicale “Banana Boat”, tratto dall’omonimo canto popolare giamaicano di genere Calypso.

Nel 1984, fu la volta della cantante Mina, che incluse nel volume 1 del doppio disco Catene la canzone “Banana Boat”, rappresentando con un ballo il momento della vita dei lavoratori portuali del turno di notte che, dopo aver caricato la nave bananiera, vogliono tornare a casa cantando “Vieni signor contabile, fai il conteggio delle mie banane. …. La luce del giorno arriva e noi vogliamo andare a casa”.

La banana è pure ilarità e, se associata alla sua buccia, rappresenta il rischio di fare grottesche scivolate, tanto il detto “scivolare sulla buccia di banana” è entrato nel vocabolario comune.

A proposito, chi non ricorda i cartoni Disney di Mickey Mouse, con Topolino che scivola su una buccia di banana o i racconti di “Paperino Paperotto - Il caso della banana antimerenda” di Stefano Ambrosio e Nicola Tosolini.

Poi vi è un simpatico indovinello:

Appeso a un albero - verde,

E si sdraiò sullo scaffale, diventando giallo.

Lui è disteso di nero!

E l’ho preso e l’ho mangiato bianco!

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