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Rucola: l'erba adulatrice

di Enzo Gambin

Il Terzo giorno Dio creò gli ortaggi, addirittura un giorno prima delle stelle e dei corpi celesti: «Faccia la terra germogliare la verdura, le erbe che facciano seme e gli alberi da frutto che portino sulla terra un frutto contenente il proprio seme, ciascuno secondo la propria specie .... E fu sera e fu mattina: terzo giorno», tra queste erbe di campo vi era la rucola, il cui nome scientifico è Eruca vescicatoria.

Il termine eruca si fa derivare dal greco “εὔζωμον”, “eréugomai”, nel senso di “sdegnare”, forse per il suo sapore pungente. ma, come per tanti termini greco antichi, anche per questo, non mancano pareri differenti. Sulla derivazione della vocabolo “rucola”, alcuni amanti delle parole lo fanno derivare dal latini “erùca”, “bruco”, forse proveniente a sua volta da un altro antico termine “rùga”, peraltro ancora utilizzato nel dialetto veneto e indica la Cavolaia, il verme verde che mangia le foglie dei cavoli.

Nella medicina popolare antica alla rucola era riconosciuta la capacità di mantenere efficienti le vie urinarie. Probabilmente proprio questa caratteristica ispirò il botanico Linneo, 1707 – 1778, padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, quando diede il nome e alla rucola e la abbinò a “vescicatoria”, dal latino “vesicarius”, “vescica”, Eruca vescicatoria.

Per queste supposte proprietà diuretiche e di riattivazione di una funzionalità d’espulsione di liquidi, la rucola fu considerata un’erba stimolatrice di desideri, un vero e proprio afrodisiaco, disse Dioscoride Pedanio, medico e botanico greco, 40 circa – 90 circa, che la consigliò come “risveglio di Venere”, poi Lucio Columella, 4 –70, che consigliava le donne a mettere di nascosto della rucola nella zuppa da servire per “risvegliare i mariti pigri”.

Publio Ovidio, 43 a.C. – 17 d. C., nella sua “Ars amatoria” consigliava di non fare uso dei pericolosi filtri d’amore propinati dalle improvvisate “fattucchiere”, ma di affidarsi alle erbe e alle piante officinali, come la rucola e la definì “erba lussuriosa”.

Tanto si disse della rucola che nella Roma imperiale la rucola selvatica, che cresceva spontanea intorno alle statue che raffiguravano simboli fallici in onore di Priapo, figlio di Venere e propiziatore della virilità, era molto ricercata e richiesta, nella convinzione che possedesse una prorompente carica erotica, magari mescolando assieme pepe macinato, semi di ortica e funghi. La rucola fu metafora di lussuria in un racconto in fantastico racconto ebraico, dove Antonino, un velato re, va a colloquio con Giuda il Principe, guida della comunità ebraica durante il dominio della Giudea da parte dei romani. Antonino è preoccupato perché sospetta di comportamenti con corretti da parte della figlia. La conversazione tra il re Antonino e Giuda avviene in maniera ermetica in un linguaggio allegorico. Antonino inviò una pianta di rucola come immagine di libertinaggio da parte della figlia.

Giuda rispose con un cesto di coriandolo, segno che la ragazza meriterebbe un castigo solenne.

Antonino inviò dei porri, la figlia sarebbe stata uccisa.

Giuda rispose con una lattuga, la saggezza è nell’indulgenza.

Questo strano dialogo utilizza la simbologia dei vegetali: la rucola è associata alla libertà di costumi, il coriandolo è simbolo del dispiacere, il porro “va tagliato” perciò soppresso, la lattuga figura la necessità di avere un animo nobile. Le credenza libertine della rucola sono, pertanto, antiche e giunsero ancora nell’Ottocento ad intaccare le perbeniste leggi borboniche, che decretarono per tutte le province del regno una restrizioni di vendita della rucola ai monasteri francescani e domenicani. Il pensiero del legislatore borbonico era che la rucola potesse alterare i comportamenti di buon costume dei poveri frati. Questa regola ebbe vita breve e che non fermò la fantasia degli abitanti di Ischia, la maggiore isola delle Flegree, nel golfo di Napoli, che con la rucola produssero il “Rucolino”, un eccellente elisir a base di rucola.

Negli anni Quanta, la creatività delle famiglia Di Costanzo di Procida diede vita anche al “Borbone Rucola Amaro Nobile”, un liquore amaro a base di rucola raccolta nelle isole campane di Sele. Se si vuole ricordare i legami con il territorio della rucola dobbiamo andare a Lucera, nel foggiano, area già lodata dai poeti latini Orazio e Marziale per la presenza di verdi e fertili i pascoli e, proprio in quelle distese erbose, cresceva in abbondanza la rucola selvatica. Nei secoli la rucola ha creato per Lucera un piatto tipico “orecchiette con la rucola”, unito al detto popolare: «Chi se magna ‘a rukele d’u kastille réste a Lucére», «Chi mangia la rucola del castello resta a Lucera»e pure una poesia “A ruchele d’u Castille” “La rucola del castello” di Lella Chiarella,1980,

Lucera ha tante cose

per farsi voler bene:

persone, aria, santi e antichità.

Ma lo sai chi fa

il buono e il cattivo tempo?

La rucola del Castello.

Se uno stolto vuoi acchiappare,

quella gli devi far mangiare:

cruda, in insalata, soffritta.

Se poi l’accoppi al tricolore

insieme con orecchiette e pomodoro

Carmela, ci puoi dormire sopra,

girasse il mondo,

quello non scappa più!

Ancora oggi, persone che vivono lontano da Lucera conservano l’abitudine di prelevare le piantine, o i semi raccolti dai frutti che maturano nel periodo estivo, così da tenere sempre con sé la Rucola del Castello.

La rucola fa da sfondo anche nel racconto di Enrico Vaime, 1936 – 2021, “Quando la rucola non c’era. La commedia della vita di un italiano del Dopoguerra”, e qui diventa metafora del declino dei tempi. Abbiamo allora valutato secondo gli studi del filosofo Gennaro Sasso, classe 1928, se effettivamente la rucola ha un declino e ne è uscito che, il concetto di decadenza non è pensabile per la rucola, perché se si tenta di definire questa idea «si cade in generalizzazioni estreme che non spiegano niente», perché il suo avvenire è percepito come un modo di vivere, un po’ indisciplinato, dal pensare “sopra le righe”, che ancora oggi piace tanto.

Proprio per questo la rucola non perderà la sua notorietà, che si è costruita con fatica, prima nel mondo antico, poi nell’impero romano e ancora nel Medio Evo, e, nei suoi tanti racconti, ha assunto la forma di una “Poetica” di Aristotele, lei che si è sempre occupata di stravaganze, al di là dalla moralità, così i suoi racconti e i suoi utilizzi viaggerà ancora nel tempo, come grande adulatrice, capace di convincere gli uomini dei suoi poteri straordinari.

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