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Ville e Castelli

di Ulderico Bernardi

Una volta era ricchezza di pochi, e si chiamava villeggiatura. Parola che richiamava la villa, per i patrizi, mentre per tutti gli altri poveri cristiani era solo un diverso termine per indicare il villaggio dove campavano la vita. Oggi, più modestamente, il periodo di tempo che s’usa trascorrere lontano da casa, in luoghi più o meno ameni (la cautela più della natura o il paesaggio, riguarda la presenza o assenza del silenzio, dei fracassoni motorizzati, delle buone arie) si definisce ferie. Un portato della democrazia, ormai irrinunciabile, ma che si soddisfa in alberghi, pensioncine, camere d’affitto, seconde e terze case. Anche se c’è ancora qualche ariosa e restaurata villa veneta, tra Mincio e Tagliamento, che antichi (pochi) o nuovi (di più) ricchi, si godono tutto l’anno. In maggior parte, tuttavia, questi monumenti architettonici, spesso firmati da architetti arcifamosi nei secoli, impreziositi di statue e affreschi di grandi artisti, circondati da parchi con alberi secolari, sono stati riconvertiti pro commoditate populi.

Magari ora sono biblioteche comunali, centri di alti studi, oppure, in molti casi, alberghi e ristoranti di gran pregio. Non possiamo che rallegrarci di quest’allargamento della fruizione. Ridà vita a splendide dimore, spesso compromesse nel prolungato abbandono. Se il paesaggio è un bene culturale impareggiabile, quello veneto e friulano senza le ville sarebbe uno scenario monco di una parte cospicua della sua storia. Le ville patrizie, con barchesse e altri annessi, oltre al corpo nobile, sono nate, va detto, non solo come occasioni di buon vivere in mezzo alla campagna. Dentro a quelle stanze si sono progettate importanti bonifiche, deciso di mettere a dimora nuove piante (il mais, “gloria veneta”, come lo chiamava Messedaglia, nel Cinquecento ha trovato accoglienza nei campi che circondavano ville patrizie del Trevigiano, del Polesine, del Bellunese).

Le ville come “fabbriche rurali”, non solo luoghi di bagordi…

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