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La religiosità popolare: i Santi Ausiliatori

di Claudio Favaretto

Sono chiamati santi ausiliatori un gruppo di 14 santi che venivano invocati ciascuno per un particolare aspetto della vita quotidiana. L’elenco non fu identico dovunque per cui si possono trovare differenze da luogo a luogo. Così san Biagio era invocato contro il mal di gola, santa Barbara contro i fulmini e la morte improvvisa, san Cristoforo contro gli uragani, e così via.

In Italia il loro culto collettivo non è molto attestato, mentre in Germania è diffuso, soprattutto nella Baviera dove probabilmente nacque e si diffuse, specialmente negli anni delle grandi epidemie a metà del 1300.

A metà del 1700 nel comune di Bad Staffelstein,nella diocesi di Bamberga, fu costruita, in onore degli ausiliatori, una splendida basilica in stile barocco, méta di migliaia di pellegrini ogni anno.

Invece non appartiene all’elenco ufficiale, pur essendo stato uno dei santi più venerati, sant’Antonio abate.

Fino a qualche anno fa, infatti, chi entrava in una stalla delle nostre contrade notava subito, attaccata ad un palo di sostegno o all’interno della porta, un’immagine sacra: un vecchio dalla lunga barba attorniato dagli animali tipici di una fattoria.

Quel santo era sant’Antonio abate, da non confondersi con l’omonimo sant’Antonio da Padova. Il santo abate era celebrato il 17 gennaio con una grande festa che culminava nella benedizione degli animali che un tempo erano addirittura portati nel sagrato della chiesa.

Credo che attualmente il santo non sia più di moda, almeno nell’Italia del nord, perché la modernità ha sostituito la religiosità con l’efficienza tecnologica e poi perché la cosiddetta civiltà contadina é scomparsa. Sono ormai ben poche le imprese agricole a conduzione famigliare: oggi si tende alla creazione di vasti possedimenti agricoli gestiti con macchinari sempre più sofisticati mentre le stalle accolgono numerosi capi di bestiame, allevati con i più moderni mezzi, dalla somministrazione del foraggio alla mungitura.

Ma vale la pena di conoscere le vicende del santo abate Antonio la cui venerazione attraversò i secoli.

Pochi, nella storia della chiesa furono i santi così popolari in tutta l’Europa cristiana.

Era nato a Coma in Egitto attorno al 250. Rimasto orfano di entrambi i genitori, verso i vent’anni decise di ritirarsi a vita eremitica non lontano dalla città, dopo aver distribuito tutti i suoi averi ai poveri e dopo aver affidato la sorella più giovane a persone di sicura moralità.

Non tardarono molto, però, a tormentarlo le tentazioni: della ricchezza, degli istinti carnali, della vanità delle sue scelte.

Fu assalito anche da visioni demoniache, da visioni mostruose che lo lasciavano sfinito. A tutto ciò seppe resistere con la fede.

La sua fama di uomo santo attirò molte persone che cercavano un sostegno spirituale, ma nello stesso tempo disturbavano il raccoglimento e la preghiera. Perciò Antonio si allontanò da lì verso il Mar Rosso dove si ritirò in un fortino abbandonato. Ma anche lì fu raggiunto da discepoli che chiedevano il suo aiuto.

Così l’eremita divenne il priore di una comunità di monaci. Deciso a ritrovare la solitudine, si recò ancora più lontano, nella Tebaide. Solo alla fine della sua lunghissima vita, si parla di 105 anni, accettò l’aiuto di due discepoli a cui fece promettere di non rivelare, alla sua morte, il luogo della sepoltura.

Fin qui la storia, narrata con precisione di particolari da un suo discepolo, sant’Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, che conferma la segretezza del luogo della sepoltura. Nei secoli successivi storia e leggenda si intrecciano per cui è difficile separare l’una dall’altra.

Ecco che nel 561, Teofilo, vescovo di Costantinopoli, attraverso una visione divina, viene a conoscere il luogo del sepolcro per cui riesce a traslare le reliquie dalla Tebaide ad Alessandria e poi a Costantinopoli dove avverrà la guarigione miracolosa della figlia dell’imperatore.

Ma sorprendentemente alla fine del 1000 le reliquie giungono in Occidente, precisamente nella Francia di sud-est. E’ un dato storico il dono di una chiesa intitolata a sant’Antonio da parte del vescovo di Vienne ai benedettini di Montmajour nel 1083. Ma come vi arrivarono le spoglie? E sono veramente quelle del santo? Alla prima domanda alcuni storici del ‘500 rispondono con il racconto di un nobile francese, Jocelino, che, in pellegrinaggio nei luoghi santi, giunge a Costantinopoli. Lì, entrato nelle grazie dell’imperatore, chiede ed ottiene come dono una cassetta in cui sono conservate le reliquie del santo a cui è così devoto da non separarsene mai. Sarà il papa di allora a costringerlo a donare i resti santi ad una chiesa. Allora il nobile cavaliere fa costruire un apposito sacello in una zona boscosa al limite dei suoi possedimenti e lo dona ai benedettini sopra citati.

Un successore di Jocelino, un certo Gastone, fece voto al santo di dedicarsi, assieme ad altri nobili compagni, alla cura degli ammalati che giungessero alla chiesa, se il figlio fosse guarito. Ottenuta la grazia, Gastone diede vita ad una organizzazione che col tempo diventerà l’Ordine degli Antoniani Ospedalieri di cui parleremo nel prossimo numero.

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