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Le Tenute Casoli: antico feudo dei DOCG dell’Irpinia

di Nino D’Antonio

La parola tenuta ha in sé echi da Medioevo. Per poi significare vasti possedimenti agrari. E non a caso, il termine – al plurale – è stato felicemente adottato da Luigi Casoli, per la sua cantina a Candida. Nel cuore di quell’Irpinia che vanta tre Docg, Fiano, Greco e Taurasi.

In questo contesto, quattordici ettari non sono da trascurare. E se l’impresa conta pochi anni, in cambio registra antichi trascorsi e fitte relazioni con la terra. Un legame che è stato in passato il più forte per ogni italiano.

E qui l’immagine perde gli attuali confini, per portarci in Emilia, fra i vigneti di Reggio e di Parma, cari agli antenati di Casoli, al pari di quella pittura di Correggio, che fra sacralità e mitologia nutriva le loro fantasie.

La storia di Luigi Casoli – settantanni di giovanile baldanza, ingegnere, già docente con lunga attività professionale, sposato, due figli, Antonella e Archimede, entrambi avvocati – è invece tutta irpina, con quel sotterraneo filo alle memorie e al vino, che il reperimento di un lontano contratto di mezzadria, sottoscritto nel Nord, non ha mancato di rinverdire.

A Candida, intanto – un raccolto borgo molto ben curato, alle falde del Monte Tuoro – c’è il Palazzo baronale e nel territorio circostante quella frammentata geometria di vigneti, che hanno solo bisogno di costante e sapiente cura. L’ingegnere Luigi vive a lungo fra dubbi e incertezze. L’impresa d’intervenire per un restauro dell’edificio si rivela ad ogni indagine sempre più complessa e costosa. E questo non tanto per lo stato dei luoghi, quanto per la superficie della struttura.

Siamo a mezza strada fra la dimora patrizia e gli spazi destinati alle necessità rurali. Il che vuol dire una fuga di salotti e sale di rappresentanza al piano nobile, fra arredi e dipinti d’epoca, e un altrettanto vasto pianoterra, dove - con imprevedibile contiguità - si passa dallo scalone centrale e dagli ambienti di prima accoglienza, ai magazzini, alla stalla con mangiatoia, al museo contadino.

Perché l’edificio – bella facciata del Settecento, con fregi a volute di pietra d’Istria – è una continua sorpresa. Dall’ingresso si contano ben sette sale, più l’androne e più la bottaia, dalla quale si accede al caveau e agli ampi spazi per la vinificazione, fra strumenti e attrezzature di avanzata tecnologia.

Ma tutto questo non esaurisce l’impianto di Palazzo Casoli. Perché siamo ad oltre mille metri quadrati di superficie, dove anche il terzo piano (un tempo riservato alla servitù) offre suggestive possibilità di soggiorno per eventuali ospiti. Gli affacci sulla catena del Tuoro, fra vallette dense di verde e filari di viti, sono scenari da suscitare ammirazione anche in chi è meno attento.

Ora, se provate a ricondurre l’intera struttura ad una condizione di totale abbandono, risulterà più chiara la passione e la dedizione richiesti dall’opera di restauro. Che si pone anzitutto come un atto di fede (una ripresa di quell’antico amore per la terra che è proprio della famiglia), tenuto conto che anche il più largo consenso ai loro vini non potrà mai ripagare le fatiche e l’investimento che c’è dietro la nascita delle Tenute Casoli.

Di qui il progetto dell’ingegnere Luigi, per dar vita intorno a questa struttura ad una serie di attività culturali, che – pur avendo protagonista il vino – si aprano di volta in volta non solo all’arte, alla letteratura, alla musica, ma anche a quelle espressioni creative (moda, design, fashion), meritevoli di essere divulgate. In pratica, un luogo d’incontri per eventi di qualità, grazie agli spazi del Palazzo che consentono di ospitare più manifestazioni. Tutte, s’intende, di buon livello.

E i vini? Sono gli eccezionali protagonisti che legittimano la dedizione dell’ingegnere Casoli e dei suoi figli. Le tre Docg non hanno bisogno di essere raccontate. La qualità dei vini è ormai un dato acquisito. Per cui non resta che puntare sulla ricerca di quella identità, che fa di un vino qualcosa di irripetibile, pur nel rispetto della purezza delle uve e del relativo Disciplinare.

E qui è evidente che è in gioco l’ubicazione dei vigneti, la giacitura dei terreni, le fasi di potatura fino ai tempi della vendemmia. Perché l’identità di un vino va costruita nella vigna più che nel processo di vinificazione. E su questo percorso l’ingegnere Casoli applica tutto il rigore che gli viene dalla sua formazione culturale (è ingegnere chimico), nonché dalla passione e dall’orgoglio con i quali porta avanti i suoi vini.

Il trittico delle Tenute Casoli risponde in pieno a questi requisiti. Il Kryos (Fiano in purezza), Le Crete e la Cupavaticale (Greco di Tufo), l’Armonia (Taurasi) sono i punti di forza per accreditare i due grandi Rossi, entrambi Doc Terranatia e Kataros, entrambi da Aglianico 100%. E’ appena il caso di aggiungere che tutti i vini sono strettamente legati ai rispettivi areali di produzione.

Dietro c’è il fascino di quei vigneti che hanno pochi confronti, anche se sono più che mai presenti nelle terre d’Irpinia. Così a primeggiare è ancora il Palazzo baronale. Forse perché ci consente di andare indietro nel tempo, quando la vita sociale e quella contadina abitavano sotto lo stesso tetto.

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