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Ciliegia e simbologia tra arte, poesia e rinascita

di Enzo Gambin

Estate e ciliegie, lucide, rosse, succose, lusingano, assalgono la gola, «una tira l’altra». Lucullo, da quando assaggiò, le ciliegie le volle sempre presenti nei suoi “luculliani banchetti”. Andò così, Lucio Lucullo, console e comandante militare romano, nel 65 a. C. sconfisse Mitridiate VI, re del Ponto, si prese la città di Cerasunte, lì trovò dei piacevolissimi frutti rossi, succulenti, dolci, e se li portò a Roma, chiamandoli «cĕrăsa», ciliegia, visto che proveniva da Cerasunte. Nell’Urbe le ciliegie erano una genuina ghiottoneria e non solo per gli uomini; nella villa di Poppea, nei pressi di Pompei, e nelle case a Ercolano, si trovano dipinti di uccelli che se le mangiano, testimoniando già da allora i danni da corvidi e storni.

Con il Cristianesimo la ciliegia si legò al sacro, sia per il colore rosso, che riconduceva al sangue e alla Passione di Cristo, sia per il nocciolo, che ricordava il legno della Croce di Gesù. La Passione di Cristo è però immagine dell’Ultima Cena e la ciliegia diventa, così, simbolo di nutrimento. Abbiamo un “santo delle ciliegie che nutrono”, San Gerardo dei Tintori (1134-1207), patrono di Monza. Si racconta che questo sant’uomo si trattenesse in chiesa a pregare fino a tarda ora. Una sera d’inverno, per persuadere i canonici del Duomo a lasciarlo rimanere oltre l’orario di chiusura, promise loro un cesto di ciliegie; benché fuori stagione le consegnò la mattina successiva. Su questi contenuti, nella Gran Bretagna medioevale, si diffuse una ballata popolare intitolata “Il ciliegio”, “The Cherry Tree Carol”, narrava «Giuseppe era un uomo anziano quando sposò Maria nella terra di Galilea. Giuseppe e Maria attraversarono un frutteto di ciliegie rosse come il sangue e Maria disse “dammi una ciliegia perché dovrò avere un bambino.” Allora un grande albero di ciliegio s’inchinò e Maria colse una ciliegia, rossa come il sangue, e mentre Giuseppe camminava sentì un angelo cantare: Questa notte nascerà il nostro re Celeste. »

Luisa Zappa, nel 1977, riprese questo antico componimento, lo trasformò e lo adattò in una nuova canzone “Il Ciliegio”, cantata da Angelo Branduardi.

“… Devo avere quelle ciliegie

perche presto un Figlio avrò”.

….. Fu il ramo suo più alto

che il ciliegio chinò

ed il Padre di Suo Figlio

così l’accontentò ....”

Il “ciliegio che nutre la Divinità” interessò moltissimo i pittori rinascimentali, ad iniziare da Sano di Pietro (1405 – 1481) con la “Madonna della ciliegia”, poi Ambrogio Benzone (1495-1550) con “La Vergine e il Bambino assistiti da un Angelo con una coppa di ciliegie”, poi Gerard David (1460 – 1523), “Madonna con il Bambino e zuppa di latte”, Federico Barocci (1528-1612) da Urbino, “Madonna delle ciliegie”, Tiziano, “Madonna delle ciliegie”, 1516-18, se possono aggiungere altri illustri pittori, come Annibale Carracci, Leonardo Da Vinci. Agli inizi del Seicento, il Caravaggio, nell’ “Ultima cena” o “Cena in Emmaus” del 1601, riporta la ciliegia all’allegoria della Passione.

La pittura barocca, con la sua ricerca del senso figurato, fece della ciliegia la metafora del dono amoroso, come nella “Natura morta con fragole e uva spina”, 1630, di Louise Mollon, “I raccoglitori di ciliegia”, Boucher François, 1768.

A Metà Ottocento, nel pieno Romanticismo pittorico, la ciliegia non è più un omaggio, ancorché di lusso, ma è lei stessa simbolo di seduzione, di dolcezza e di bellezza, come ben rappresentata nel dipinto “Il tempo delle ciliegie”, del napoletano Salvatore Postiglione (1861-1906). Se la ciliegia è seduzione ecco che un altro napoletano Di Giacomo Salvatore (1860 –1934) fa conquistare dalla ciliegia con la canzone “E ccerase”, ancora magistralmente cantata da Massimo Ranieri

“ … Frutt nuvìell dò mese e pàravìs,

..e ccerase … e ccerase.

L’anno passàt, ò tièmp d’è ccerase,

Facèv’ammòre, cù na Purticès …

Pure il ribelle poeta Jacques Prévert (1900 – 1977) s’innamorò della ciliegia, tanto da scrivere:

“La vita è una ciliegia

La morte il suo nòcciolo

L’amore il ciliegio.”

Dal seducente al meraviglioso, la ciliegia è nelle “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” di Carlo Collodi (1826–1890). In quest’opera troviamo un falegname, mastro Geppetto, chiamato pure “mastro Ciliegia”, per la punta del suo naso «lustra e paonazza, come una ciliegia matura». Nelle mani di “mastro Ciliegia” un pezzo di legno si anima, diventa vita, una vita trasmessa, dal padre al figlio, e il figlio riceve gli elementi distintivi del padre, così quel legno non poteva che essere di “ciliegio”.

Diciannovesimo secolo, la ciliegia è nel Teatro d’Arte di Mosca con “Il giardino dei ciliegi”, di Anton Cechov (1860-1904), un’opera teatrale dove Ljuba, personaggio principale, possiede e ama il suo giardino di ciliegi e, quando le viene tolto, Ljuba grida: “… senza il giardino dei ciliegi non ha senso la mia vita …” : la ciliegia ha così preso il senso del possesso e della privazione.

Possesso e Privazione, è ancora presente nella poetica del tedesco Bertolt Brecht (1898 – 1956) con il “Il ladro di ciliegie”

……..

mi svegliò un fischiettio e andai alla finestra.

Sul mio ciliegio – il crepuscolo empiva il giardino -

c’era seduto un giovane, con un paio di calzoni sdruciti,

e allegro coglieva le mie ciliegie.

Seconda guerra mondiale, la ciliegia è messaggero di guerra, Radio Londra, per informare i partigiani dell’VIIIª brigata Garibaldi del lancio di armi, viveri, medicinali e denaro, trasmetteva “Le ciliegie sono mature”. Nel 1989, questa operazione di portaordini diventa un lungometraggio di lotta partigiana, con il titolo “Le ciliegie sono mature”.

Dai conflitti armati a quelli sociali, è questo il passaggio della ciliegia con la canzone “La collina dei ciliegi” di Lucio Battisti, del 1973.

Alla fine degli anni Novanta la ciliegia ritrova il suo antico simbolismo, religioso e di rinascita, con il film “Il sapore della ciliegia”, del 1997, Palma d’oro come miglior film al 50 Festival di Cannes.

Ventesimo secolo, la ciliegia è ancora protagonista nella canzone “Ciliegio esterno” di Max Gazzè, 2000, si canta:

«Povero Gianni Sergente vestito elegante

A pensare su un ciliegio esterno»

Il “Ciliegio esterno”, albero del rifugio e del riparo, da tutto e da tutti, è una nuova e inaspettata rappresentazione della ciliegia: la quiete.

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