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Il Carciofo, dalla Ninfa Cynara all'amaro Cynar

di Enzo Gambin

Il carciofo, dalla ninfa Cynara all’amaro Cynar.

La mitologia greca unisce strettamente la storia del carciofo al rifiuto che fece la bellissima ninfa “Kινάρα”, Kynara, di unirsi a Zeus. Rifiutare il desiderio di una divinità era considerato un “ὕβϱις”, “hybris”, vale a dire un atto d’orgogliosa tracotanza di un essere inferiore e, a questa offesa, doveva seguire la punizione divina. Così Zeus trasformò Kynara in un carciofo, cancellando per sempre la sua bellezza, che rimase solo nelle foglie con il colore degli occhi di Kynara, verdi e viola, e all’interno del capolino, il piccolo “grappolo” di foglie, chiamate brattee, che racchiudono un “cuore”, dolce e tenero.

Il carciofo che mangiavano greci e romani, non è uguale a quello che troviamo oggi sulle nostre tavole, al tempo utilizzavano la specie selvatica, più piccola e tigliosa.

Il succo del carciofo, soprattutto i suoi fiori azzurri, erano utilizzati come caglio vegetale per la produzione di formaggi.

Più che per consumo a tavola le proprietà del carciofo erano conosciute nella medicina popolare, sono citate dal poeta greco Esiodo, VIIi – VII sec. a.C., in “Opere e giorni” e dal botanico Teofrasto, 371 a.C. –287 a.C, nella sua “Storia delle piante”.

Plinio il Vecchio, 23 –79, in “Naturalis historia” pone in risalto le proprietà del carciofo, chiamato “kynara”, efficace per depurare e tonificare l’organismo e contro la calvizia.

Ad iniziare dal “De Re Rustica”, di Decio Bruno Columella, 4 – 70, si apprende che il carciofo era coltivato sia come pianta medicinale e sia come ortaggio da consumo fresco.

In effetti è pensabile che la domesticazione del carciofo selvatico all’attuale carciofo possa essere avvenuta proprio da I secolo dopo Cristo.

Non fu un impegno facile e, certamente, durò qualche secolo, però, quando gli Arabi giunsero in Sicilia vi trovarono importanti produzioni di carciofi, tanto che ne migliorarono la coltivazione e ricavarono pure una nuova varietà di carciofi.

In effetti gli Arabi conoscevano e coltivavano già questa pianta nelle loro terre, che chiamavano “al-karshuf” o “ardi-shoki”, con il significato di “spina di terra” e “pianta che punge”.

Il nome di carciofo deriverebbe proprio dal termine “karshuf”.

In epoca medioevale le notizie sul carciofo scarseggiano, lo si ritrova agli inizio del XIII secolo scolpito in alcuni capitelli della cattedrale Notre-Dame di Chartres, nel dipartimento francese dell’Eure-et-Loir.

Con molta probabilità in quel periodo si continuò a coltivarlo e selezionarlo, cercando sempre più di trasformare il carciofo selvatico in quel carciofo che ora mangiamo.

Il trionfo del carciofo iniziò tra il Cinquecento e il Seicento, quando fu inserito in numerosi quadri di natura morta, accanto a fiori e frutta, un magnifico esempio lo troviamo nell’opera del 1580 la “Fruttivendola” di Vincenzo Campi, 1527 – 1596.

Il carciofo è ripetutamente rappresentato nelle opere del pittore Giuseppe Arcimboldo, 1527 –1593, passato alla storia dell’arte per il modo bizzarro di ritrarre i suoi committenti.

In età barocca, 1625, la pittrice fiamminga Clara Peeters, 1594 – ..., ritrae “Natura morta con formaggio, carciofo e ciliegie”.

Ancora produzione barocca del carciofo la troviamo nel ritratto del 1650 di Giovanna Garzoni, 1600 – 1670, “Carciofi in un piatto cinese con rosa e fragole”.

Sul finire del Settecento il pittore spagnolo Luis Meléndez, 1716 – 1780, dipinse “Natura morta con carciofi, pomodori, piselli e pere in un paesaggio”.

In pieno Rinascimento, Pietro Andrea Mattioli, 1501 – 1578, medico e botanico scriveva: “Veggonsi à tempi nostri i carcioffi in Italia di diverse sorti imperoché di spinosi, serrati e aperti e di non spinosi ritondi, larghi, aperti e chiusi se ne ritrovano”.

Al Mattioli fece eco il botanico Costanzo Felici, 1525 –1585, che sosteneva che in Italia i carciofi era presenti soprattutto sulle tavole di prestigio: “sonno frutti de piante o herbe spinose cognosciuti da tutti hormai; tanto la gola vi ha industriato sopra che gli ha fatto familiarissimi a tutti et in gran reputatione appresso de’ grandi”, che li mangiano crudi o cotti “in diversi modi, o con olio o con grasso o con butiro e sale e pepe, sopra le gradelle, sopra le brage, o nel bruodo grasso et in molti altri modi secondo che più diletta”.

Nei ricettari del Quattrocento e Cinquecento, a partire da Messisbugo, Romoli, Scappi, si parlava ampiamente dell’uso in cucina del carciofo, s’insegnava come “trinciarlo” correttamente e come consumarlo a crudo.

Probabilmente fu questo uso del crudo a provocare una potente indigestione a Caterina de Medici, regina di Francia, se un cronista dell’epoca, Pierre de l’Estoile, 1546 – 1611, riportava nel “Journal” del 1576: “La Regina madre mangiò tanto da scoppiare e si sentì male come mai le era accaduto prima. Si diceva che ciò dipendesse dall’ aver mangiato troppi cuori di carciofo, creste e rognoni di gallo di cui era molto ghiotta”.

Montaigne, 1533 – 1592, nel 1581 annotava nel suo “Giornale di viaggio” che “ in tutta Italia vi danno fave crude, piselli, mandorle verdi, e lasciano i carciofi pressoché crudi”. Cosa possibile soprattutto “sul principio della sua stagione”, ossia “nei tempi della Quaresima”, quando, non a caso, il carciofo è molto ricercato”.

Questo lo ricorda anche Paolo Zacchia, 1584 – 1659, medico italiano, considerato uno dei padri della medicina legale, illustrando “Il vitto quaresimale” precisava che il carciofo è migliore se cotto: “lesso passa più facilmente; arrosto è più grato allo stomaco; tartufolato, come i cuochi dicono, cioè condito con menta selvatica, aglio trito minutamente e in poca quantità, pepe, e olio, e sale, risveglia l’appetito; e in tutti i modi dà buon bere, e è aperitivo”.

Il primo botanico a ritornare ad usare il vocabolo “Cynara” per il carciofo fu Sébastien Vaillant, 1669 – 1722, ripreso poi Linneo, 1707 – 1778, che lo classificò in maniera scientifica nella sua pubblicazione “Species Plantarum”.

S’interessò al carciofo anche Carlo Enrico Marx, 1818 –1883, il quale, entrato in polemica con Pierre-Joseph Proudhon, 1809 – 1865, filosofo ed economista, lo considerò un bene di lusso, però molto buono in tavola e utile per la salute.

In epoca moderna troviamo che, nella costa centrale della California, il carciofo è una tra le più importanti coltivazioni ed è tanto popolare che gli hanno dedicato un festival, il “Castroville Artichoke Food & Wine Festival”.

I primi carciofi giunsero a Castroville nel 1922, lì vi trovarono terreni e climi ideali. A oltre 100 anni dalle prime coltivazioni la quasi totalità dei carciofi americani provengono da Castroville, oramai considerato il “Centro del Carciofo del Mondo”.

Ancora nel 1948, Norma Jean Mortenson, meglio conosciuta come Marilyn Monroe, fu stata nominata dall’allora Amministrazione di Castroville la prima regina onoraria dei carciofi della California.

Nel Veneto non siamo di meno, perché il primato del più importante liquore a base di carciofo, il Cynar.

Nato nel 1948 dall’idea dell’imprenditore veneziano Angelo Dalle Molle, il Cynar è dato da un infuso di foglie di carciofo e al suo primo ebbe un immediato e strepitoso successo mondiale. Complice di questa grande popolarità fu la neonata la TV e il suo “Carosello”, in cui apparivano prima Ferruccio Ceresa, 1922 –1993, poi Ernesto Calindri, 1909 – 1999. I due attori levavano il bicchierino con dentro il liquore ed esclamavano: liquore “perfetto contro il logorio della vita moderna”, aforisma che ha fatto un pezzo della storia pubblicitaria italiana.

E la scelta del nome Cynar?

Non poteva altro che essere ricondotto alla ninfa Cynara.

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