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I grandi Vini Rossi e i tagli Bordolesi

di Silvia Allegri

Sono vini spettacolari, dove la grande potenza si associa a un’eleganza inconfondibile. E a una personalità che li rende unici, principi incontrastati della tavola, specialmente quella autunnale e invernale. Stiamo parlando dei grandi rossi del vino italiano, quelli di Taglio Bordolese. Che vedono le loro origini in Francia, dove secoli di tradizione hanno contribuito a creare una vera e propria leggenda. Ma che hanno trovato espressioni eccellenti anche in altre parti del mondo, raggiungendo l’apice in Italia. A farla a padroni, la Toscana e il Triveneto. Proprio qui, in questi terreni così ricchi e capaci di potenziare al massimo le qualità dei vitigni protagonisti del blend, crescono uve pronte a competere anche con i più blasonati dei cugini francesi. Scopriamone i segreti, in un viaggio che vede protagoniste le tavole delle feste.

All’origine delle parole: cosa significa Taglio Bordolese?

 

È il Bordeaux Blend, il taglio bordolese, a detenere lo scettro tra tutti i blend del mondo. Qui la forte personalità si fonde con la storia di Bordeaux, dove la vite ha fatto la sua comparsa duemila anni fa e che vede oggi la presenza di cantine contenenti autentici tesori della tradizione enologica, vini che da soli hanno contribuito alla consacrazione della Francia a regione leader nel mondo enologico. Ma l’Italia, con la ricchezza unica dei suoi terroir, non poteva essere da meno, e così il taglio bordolese, esportato nel Belpaese, ha dato i suoi frutti. E che frutti! Il taglio vuole riferirsi a un preciso procedimento che consiste nella vinificazione separata delle diverse uve, per poi procedere all’assemblaggio scegliendo una cuvée ben precisa. Una pratica, quella del taglio, che tiene conto dei diversi momenti di maturazione e quindi di vendemmia delle uve, per ottenere vini estremamente armoniosi e capaci di dare risalto alle migliori qualità di ogni uva, a partire dalla morbidezza del Merlot e dalla tannicità del Cabernet.

 

Il successo in Italia…

 

Sassicaia, Tignanello, Ornellaia. Bastano questi nomi a evocare bottiglie tra le più blasonate in Italia. Si deve a un’intuizione del marchese Mario Incisa della Rocchetta l’arrivo massiccio in Toscana, negli anni ‘40 del secolo, scorso, delle prime barbatelle provenienti da Bordeaux, con l’intento di sperimentare i risultati di vitigni di origine francese trapiantati in terreni, quelli toscani, molto simili morfologicamente.

Anche se i vitigni francesi erano già diffusi in alcune aree della Toscana: basti pensare all’assemblaggio di Sangiovese e Cabernet di cui si ha notizia a Carmignano fin dal 1600. Di certo quella dei vignaioli del Novecento fu un’idea lungimirante e geniale, se si pensa al successo dei cosiddetti Supertuscans, vini con una base di Chianti ma con la presenza, appunto, di vitigni internazionali. A inventare il termine Supertuscan fu la stampa anglosassone, riferendosi al primo vino di successo nato dal connubio tra Sangiovese e Cabernet, il Tignanello dell’annata 1975.

…e nel Triveneto

 

E non è da meno il Triveneto, che ha fatto dei bordolesi un vero e proprio cavallo di battaglia. Diffusi in Alto Adige, in Friuli Venezia Giulia, ma soprattutto in Veneto, in particolare nei territori di Breganze, Colli Berici, Colli Euganei, Colli Asolani. Dove il termine Taglio Bordolese, comunque, non è mai menzionato in etichetta, a favore di nomi che indicano precise zone geografiche, e dove il taglio vede la presenza, in piccola quantità, anche di altri vitigni autoctoni, che apportano ulteriore personalità. Di certo la presenza di questi vitigni provenienti da Bordeaux vanta, in Triveneto, una storia ben più lunga e complessa rispetto ai francesi ‘adottati’ in Toscana. I vitigni bordolesi sono arrivati in terra veneta a metà dell’Ottocento, anche se le due aree geografiche sono strettamente connesse da molto prima, avendo visto entrambe la presenza di popolazioni celtiche. E nelle terre marnoso-argillose di alcune aree, unite a suoli ferrosi e a un clima temperato di raro equilibrio, si sono espresse al massimo. Al punto che oggi il taglio bordolese ha perso completamente la sua patina esotica, fatta eccezione per il suo nome, confermandosi una delle espressioni enologiche più autentiche di larga parte del Veneto centrale. E il prestigio ormai è cosa risaputa: risale al 2020 l’articolo di Alison Napjus su Wine Spectator, la rivista di vino più prestigiosa al mondo, dedicato all’Italia sul numero di ottobre. Parlando delle aree dei Colli Berici e di Breganze la giornalista descrive la particolare vocazione alle uve rosse, definendo i vini prodotti in queste zone, a base di varietà francesi, “Super Venetos”. Insomma, a tremare non è solo la Toscana, ma la Francia stessa, se si considera il livello altissimo che questi vitigni internazionali hanno raggiunto dentro i confini orientali del Nord Italia. E un’ulteriore conferma della confidenza che si è creata, oramai, tra i vitigni bordolesi e i territori italiani sta nel fatto che si percepisce sempre meno la loro origine ‘straniera’, a favore della scelta di un numero sempre maggiore di vignaioli di riservare a queste uve i terreni migliori, con l’esposizione più favorevole per arrivare a maturazioni equilibrate e grappoli sani, in grado di dare il meglio in fase di lavorazione in cantina.

 

I vitigni

 

A tenere legato questo blend con la sua origine territoriale e la sua tradizione è oggi la tipologia di uve prescelte. E in linea con i cugini francesi, a farla da padrone resta sempre il Merlot, che rappresenta tuttora oltre il 60% dei vigneti impiantati con vitigni a bacca nera di Bordeux. Vitigno simbolo, il Merlot offre note di frutti rossi, prugna, la tipica violetta, con tannini morbidi e levigati che lo rendono indispensabile per ingentilire ogni blend. Ecco poi il Cabernet Sauvignon, con i suoi tannini eleganti e un corredo aromatico che spazia dai piccoli frutti a bacca nera, al tocco vegetale di peperone verde, fino al cedro. Un vitigno considerato volubile e imprevedibile, talvolta, per la sua grande capacità di interpretare i terroir che lo ospitano. Arriviamo, poi, al Cabernet Franc, terzo vitigno di Bordeaux, con le sue note fumé che eredita spesso dalla conformazione dei terreni, cui si aggiungono tracce minerali e note vegetali. Ai tre principali protagonisti si aggiungono il Malbec, fruttato e di veloce maturazione, e Petit Verdot e Carménère, varietà dalla maturazione più tardiva che apportano sentori vegetali, di radici, di cuoio. A seconda delle regioni, poi, possono essere aggiunti in percentuale minore altri vitigni, come Syrah o Tai Rosso. Presenze, queste, che contribuiscono a caratterizzare fortemente i bordolesi in base alla provenienza e alle scelte individuali di ogni enologo.

 

Longevità

I vini da taglio bordolese arrivano sulla mensa e nei calici dopo aver trascorso un lungo periodo in affinamento, generalmente in piccole botti. Se si pensa ai vitigni che li compongono è facile immaginare che tra le loro ottime qualità figura anche un’ottima capacità di affinamento. Potrà capitare di degustare tagli bordolesi di dieci, venti, trent’anni: il loro corpo e la struttura nel bicchiere potrà essere stupefacente. È consigliabile, in caso di bottiglie di una certa età, il passaggio nel decanter, per permettere al vino di ossigenarsi per esprimersi al meglio, per poi versarlo in calici di grande ampiezza.

 

Abbinamenti

Colore carico, naso importante e ricco, forte persistenza in bocca. Non è un caso se i vini di Taglio Bordolese sono tra i preferiti nelle tavole dove prevalgono menù tradizionali, dai primi con personalità spiccata come tortelli, risotti al tartufo o ai funghi, zuppe, ai piatti da portata succulenti e ricchi di sughi e intingoli. Ma si sta diffondendo ormai anche l’abitudine di considerarli vini da meditazione, perfetti per accompagnare un dopocena, magari anche con l’accompagnamento di cioccolato fondente e di un sigaro: i sentori di spezie e cacao del vino potranno riservare gradite sorprese in fase di abbinamento, dando vita a interessanti analogie. La temperatura consigliata va sempre dai 16 ai 20 gradi: una temperatura minore porterebbe a una percezione di forte durezza e sapidità in bocca, e non farebbe giustizia alle innumerevoli sfaccettature sensoriali di cui questo blend è ricchissimo.

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